Pochi giorni fa, in uno degli articoli precedenti, abbiamo iniziato a trattare quelle innovazioni epocali, che hanno portato il cinema ad evolversi e a sopravvivere allo scorrere impetuoso del tempo. Tra queste, importanza apicale ha certamente l’avvento del colore, destinato, come è ovvio che sia, a fare epoca.
L’apporto del colore all’arte cinematografica, ha fin da subito, infatti, attirato a sè numerosi esperimenti, tanti di essi con scarso successo. Nel periodo in cui le ricerche furono più intense, cioè fra il 1928 e il 1948, furono proposti più di mille procedimenti diversi. Fino a quando ebbero inizio le prime esperienze concrete per ottenere immagini colorate per sintesi additiva o sottrattiva a partire da due o tre colori primari, fu tentata con successo la colorazione a mano dei singoli fotogrammi dei film. Tecnica, che per intenderci, venne utilizzata ad esempio per le pellicole di Stan Laurel e Oliver Hardy. Val la pena qui, elencare brevemente, gli esperimenti più significativi, che hanno portato all’avvento del colore nel cinema mondiale. Il colore nasce a braccetto con i primi esperimenti di immagini in movimento. Risalgono già al 1892 questi primissimi tentativi, ad opera di Charles-Émile Reynaud, che fu il primo ad utilizzare il colore per le sue Pantomime luminose, proiettate al Museo Grévin di Parigi. Immagine per immagine, egli dipinse a mano e applicò le sue tinture a pastello direttamente sulla pellicola Eastman di 70 mm di larghezza, che fece di lui il primo realizzatore di disegni animati a colori.
Due anni dopo, nel 1894, uno dei film prodotti da Thomas Edison e realizzati da Laurie Dickson venne colorato anch’esso a mano, stavolta con la tintura di anilina, fotogramma per fotogramma, da Antonia Dickson, la sorella del primo realizzatore di films. È la Serpentine Dance (in italiano La Danza della Farfalla) un film molto breve della durata di una ventina di secondi, dove la danzatrice Annabelle Moore compie delle giravolte con effetti deformanti alla maniera di Loïe Fuller. L’effetto è completamente riuscito, e affascina ancora oggi. Questa è la prima apparizione del colore applicato a una ripresa fotografica animata originariamente in bianco e nero.
La ricerca del colore è stata dunque, sempre una prerogativa per chi ha lavorato nel cinema, fin dai suoi primi vagiti, considerando che, già nel bianco e nero, il ruolo della luce assume una importanza rilevante. Nell’immagine in b. e n. le variazioni tonali sono provocate dall’azione combinata della luce con la scenografia e i costumi. La luce, dando per scontato nel nostro discorso che nulla è totalmente scindibile dal tutto, ha le funzioni determinanti di formare la scala dei grigi e di separare gli oggetti fra loro e dal fondo. Sul piano estetico, invece, dà volume e plasticità agli oggetti, divide lo spazio, scandisce il tempo (il giorno e la notte). La mancanza di colore è compensata da chiaroscuri, flou, aloni, silhouette, ombre, raggi obliqui, riflessi, sfondi luminosi. Sullo schermo, figure e oggetti in controluce, tende e persiane che vengono aperte per svelare l’ambiente o le facce, candele e lampade che scavano nel buio, ombre che si avvicinano, diventano presto dei modi di espressione e di visione, e, in altre parole, mezzo di narrazione. La luce, quindi, è portatrice di senso, veicolo privilegiato di emozioni: dunque il suo uso dipende dal tipo di rappresentazione. Il cinema comico sembra richiedere una scala di grigi non troppo contrastata, ossia luci diffuse, adatte ai campi medi e ai totali, in modo che siano sempre visibili i movimenti e la mimica dei personaggi dentro l’ambiente, e sia sempre ‘chiara’ la situazione. I grigi sono dosati anche in funzione psicologica: il chiarore è di per sé tranquillizzante, e l’oscurità, quando c’è, piuttosto che a generare ansia serve a far nascere le gag e gli equivoci.
Addirittura negli anni ’20, nasce negli Stati Uniti d’America, dopo migliaia di tentativi, di perfezionamenti e di messe a punto, il Technicolor, che rimane tra il 1922 e il 1952 il procedimento di cinematografia a colori più utilizzato. Negli anni ’50 poi, verrà affiancato e superato, ma non soppiantato mai completamente, dall’Eastmancolor. Questa tecnica cinematografica resta a tutt’oggi, il procedimento più utilizzato del mondo per conferire colore alle pellicole. In rapporto al Technicolor, il procedimento Eastmancolor rappresentò una valida alternativa economica allo stadio delle riprese.
Durante gli anni ’50 i film, che prima venivano girati in Technicolor, vengono ripresi in Eastmancolor. Dopo le riprese, una volta completato il montaggio, si utilizzano i negativi Eastmancolor con ben quattro matrici per stampare le copie dei film sotto il procedimento tricromico del Technicolor, con un vantaggio: col negativo Eastmancolor può essere calibrato più efficacemente il livello cromatico di ciascuno dei colori primari. L’Eastmancolor è infatti il procedimento che conferisce il colore più reale alla pellicola cinematografica, con colori nè troppo carichi, nè troppo sbiaditi, praticamente corrispondenti alla realtà visiva, già negli anni ’50 e perfezionatosi negli anni successivi.
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Anche in Italia si iniziò a sperimentare riprese a colori sin dal secondo dopoguerra, con esiti contrastanti. Non venne utilizzato fin da subito il più sicuro Eastmancolor, ma si optò per una tecnologia tutta italiana e per un procedimento più economico, già scoperto nel campo della fotografia negli anni ’20, e adattato al cinema a partire dal 1952: il Ferraniacolor. Questo sistema tutto italiano di conferimento del colore all’immagine in movimento, venne sviluppato dalla Ferrania Technologies che aveva la sua sede a Cairo Montenotte, in provincia di Savona. Il Ferraniacolor, utilizzato solo in Italia, ha l’onore di inaugurare la stagione del colore nel cinema italiano, con la pellicola Totò a colori, del 1952. Siccome il Ferraniacolor conferiva alle pellicole un colore troppo sgargiante e acceso, quasi da risultare irreale, o in alcuni casi assumeva colori instabili, come accaduto per il film Gran varietà, del 1954, con Renato Rascel, Vittorio De Sica e Alberto Sordi; venne presto soppiantata dall’Eastmancolor, che aveva maggiore duttilità, un costo non eccessivo e soprattutto dei colori più corrispondenti alla realtà. Con l’utilizzazione nel film Pane, amore e…, del 1955, con Sophia Loren e Vittorio De Sica, l’Eastmancolor convinse i produttori che quello sarebbe stato il procedimento in grado di affermare il colore nel cinema italiano, con risultati più che eccellenti.
A fine anni ’50 il colore arrivò ad affiancare il bianco e nero, senza dubbio, ma quest’ultimo continuava ad affascinare le platee, dal b. e n. seducente de La dolce vita, a quello noir de I soliti ignoti. Dunque gli anni ’60, vivono di una sorta di divisione del campo cinematografico in pellicole in bianco e nero e pellicole a colori, ma sembrava chiaro a tutti, che il futuro, prima o poi, sarebbe stato solo ed esclusivamente a colori, e il bianco e nero sarebbe purtroppo destinato ad estinguersi.
Dopo quella del colore, le ultime grandi rivoluzioni tecniche, toccano gli effetti speciali e il passaggio dalla pellicola al digitale. Una di quelle epocali è il Chroma Key, più semplicemente detto Green Screen. E’ una tecnica usata in ambito televisivo e cinematografico per creare effetti speciali, si usa per ambientare soggetti e oggetti su sfondi “virtuali”, aggiunti separatamente e successivamente. Tale tecnica, letteralmente chiave cromatica, permette di miscelare due (o più) sorgenti video, sfruttando un particolare colore di sfondo. Tale colore viene eliminato (in gergo “bucato”) ottenendo un’immagine scontornata, combinabile con altri sfondi o immagini. L’uso classico in televisione è nelle trasmissioni delle previsioni meteo, dove il presentatore agisce davanti ad un fondale verde sostituito al mixer dalle cartine e dalle animazioni (nuvole, frecce…). I colori usati come fondo per tale tecnica sono il blu (blue screen) e molto più spesso il verde Pantone 354 (green screen) particolarmente efficace con le telecamere digitali.
I requisiti essenziale sono che: l’illuminazione sia omogenea sui soggetti, ma soprattutto sul fondo; l’illuminazione del fondo e del soggetto siano separate; le ombre del soggetto non finiscano sulla porzione di colore chiave presente nell’inquadratura. Per evitare il fastidioso effetto di “sfilacciatura” del contorno è utile una sorgente di controluce sul soggetto. La tecnica è molto usata al cinema per: ricreare ambientazioni, effetti quale il volo. Per non svelare l’effetto è necessario che la sorgente video principale e quella di sfondo non abbiano movimenti di macchina, o essi siano perfettamente sincronizzati. Per questo oggi il semplice chroma key si è evoluto in effetti più sofisticati come il set virtuale, in cui l’interazione tra elemento ripreso in studio (su green screen) e elemento aggiunto in post produzione (un set virtuale per l’appunto) si fondono in maniera realistica, permettendo anche movimenti di camera perfettamente sincroni.
Questa rivoluzione negli effetti speciali, si lega alla definitiva affermazione del digitale, che sovrasta e definitivamente accantona, dal 2014 in poi, la vecchia pellicola cinematografica. Non è altro, che la storia che si ripete: il sonoro che soppianta il muto; il colore che si afferma sul bianco e nero. Il digitale, come ovvia conseguenza del progresso, ha dei vantaggi sostanziali rispetto alla pellicola, tra cui brevemente: la minore o nulla usura dettata dal tempo e dall’utilizzo; una certa facilitazione del lavoro di produzione, permettendo l’inserimento all’interno del set di più telecamere, capaci di restituire nuovi angoli di inquadratura; nonché un minor costo complessivo rispetto alla pellicola e un minor spreco di tempo.
In conclusione, la storia del cinema è ricca di rivoluzioni tecniche. Ce ne sono state altre, certamente. Noi qui abbiamo nominato quelle riconosciute universalmente epocali, perché in grado di influenzare i professionisti del settore, cambiando per sempre la storia del cinema. SI badi bene, evoluzioni tecnologiche, che toccano caratteristiche di ambito tecnico e non di linguaggio cinematografico, quest’ultimo dettato da stili e tendenze autoriali, nonché dai mutabili gusti del pubblico.
“Le innovazioni del cinema: tra passato e futuro – Parte 2°: Dal cinema a colori all’avvento del digitale”, è la seconda parte di un articolo che è iniziato nel numero di Gennaio 2022 di Smart Marketing , che potete leggere a questo link.
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