Jeremy Rifkin, nel suo libro “La società a costo marginale zero” sostenne, nel 2014, il cambio del paradigma: non più “che cosa vorrei possedere che ancora non posseggo?” ma “quali esperienze posso provare che non ho ancora provato?”.
Molto prima di Rifkin, quando l’e-commerce non esisteva e successivamente quando era agli albori, l’esperienza di consumo, la trasmissione delle emozioni, la stimolazione dei 5 sensi all’interno dello store sono state un asset su cui le aziende hanno investito.
Oggi i numeri del commercio on line e le nuove iniziative di Amazon sono sotto gli occhi di tutti. Ci si potrebbe domandare, quindi:
- le aziende hanno abbandonato gli studi, e gli investimenti sull’off line?
- tutti i consumatori acquistano esclusivamente attraverso il web?
Assolutamente no!
Lo dimostrano i numeri e tra essi registriamo una recente ricerca di PwC. Le esperienze off line (in store ma anche in strada attraverso iniziative di ambient e guerrilla marketing) consentono all’azienda, soprattutto nei confronti della generazione z (nati dal 1998 al 2006), di stimolare:
- word of mouth
- empatia con il brand
- brand awareness
- loyalty
- customer journey
Non è un caso, infatti, se la sopracitata Generazione Z dichiara di preferire l’acquisto in store rispetto a quello on line.
Ma facciamo un passo indietro.
La Standford Research Institute, alcuni anni fa, ha creato il VAT (Value and Lifestyle) che mette in correlazione reddito, età e potere d’acquisto con dati relativi ai gusti personali, alle preferenze di scelta. L’obiettivo? Prevedere il tipo di esperienza, non di acquisto, che il cliente potrebbe preferire. Quindi si è messo in relazione cultura ed esperienza perché la prima dev’essere richiamata nella seconda.
Con il tempo, e con le ricerche, si è compreso come il modo di vivere l’esperienza, di consumo, muti non da cultura a cultura ma da individuo a individuo ed è proprio per questo motivo che le tecniche di segmentazione e profilazione sono sempre più raffinate e supportate dai dati.
Ormai è cosa nota: non esiste, non deve esistere, acquisto off line senza esperienza.
Non è un caso, infatti, se da diversi anni si parla di esperienza di consumo e di marketing esperienziale. L’esperienza è unica leva che permette al “mondo off line” di sopravvivere e di non lasciarsi sconfiggere definitivamente dagli acquisti on line.
Ma, verrebbe da chiedersi: qual è la differenza tra marketing e marketing esperienziale?
Come sostengono Ferraresi e Schmitt nel loro libro “Marketing esperienziale”: “il marketing classico si concentrava sulle 4P di Kotler quindi sempre sul prodotto, mai sul cliente. L’aspetto esperienziale era lasciato da parte”.
Uno degli indicatori del marketing esperienziale, invece, è il CEM (customer experience management) che consente di gestire l’esperienza del cliente in 4 fasi: analisi, strategia, progettazione dell’esperienza e strutturazione della relazione con il cliente.
In sintesi il marketing esperienziale si concentra sul contesto e sugli stimoli che esso trasmette e trasferisce al cliente (consumatore, decision maker).
Esso non è sempre razionale, anzi. La sua sfera emotiva spesso è più forte, ed influenza, quella razionale. Quindi il comportamento del consumatore (customer behavior) spesso è guidato dall’emotività. Come sostiene il Prof. Holbrook della Columbia University, “l’approccio decision-oriented è una prospettiva di analisi del consumatore estremamente riduttiva e povera. La prospettiva più adatta per comprendere le motivazioni e le dinamiche del customer behavior è la prospettiva esperienziale”.
Seguendo le indicazioni del Prof Holbrook ed in particolare del lavoro di D. LaSalle e Terry Britton dal titolo: Priceless: Turning Ordinary Products Into Extraordinary Experiences esperti i ricercatori e quindi le prime aziende, già diversi anni fa, hanno iniziato a stimolare il consumatore sotto l’aspetto emotivo/emozionale e non razionale.
Per comprendere come il mondo off line difficilmente verrà completamente sconfitto dall’e-commerce vi potremmo proporre molteplici esempi di ambient o di guerrilla marketing oppure di attività in store anche all’interno di catene GDO. Abbiamo, invece, deciso di proporvi due esempi che partono dall’intrattenimento e dalla cultura (e non dal largo consumo) ma che conducono il consumatore a rimanere affezionato alle esperienze che, dopo aver sviluppato engagement e loyalty portano, inevitabilmente, all’acquisto off line.
Il primo esempio lo prendiamo in prestito dalla Prof Addis che, in chiave marketing nel suo libro “L’esperienza di consumo”, studia il Rose Center, la struttura dell’American Museum of Natural History di New York dedicata all’astrofisica sapientemente analizzata. Nello studio della Addis emerge come la Rose Center sia stato concepito per “enfatizzare l’interazione alla base dell’esperienza di consumo attraverso elementi architettonici, tecnologici ed espositivi.
Il secondo ed ultimo esempio è noto a tutti ma, forse, non è mai stato analizzato, dai non esperti, in ottica marketing. Parliamo del Cirque du Soleil uno degli esempi più utili a comprendere il concetto di marketing esperienziale.
Siamo convinti che se le aziende, di tutti i settori merceologici, continueranno ad approfondire e ad investire sul fenomeno dell’esperienza di consumo e del marketing esperienziale, riusciranno oltre o non subire un calo di vendite nell’off line anche a registrare un notevole tasso di soddisfazione del cliente.