La stampa è stata sempre considerata una fonte abbastanza veritiera di informazioni. Quotidiani come il Washington Post, Boston Globe, The New York Times o settimanali come il New Yorker hanno raccontato storie incredibili e inchieste storiche, diventando esempi di una stampa libera, autorevole ed impegnata, tanto da meritarsi un’infinità di premi e riconoscimenti prestigiosi, primo fra tutti l’ambito Pulitzer.
Chi appartiene alla mia generazione, nata negli anni ’70, dove l’informazione passava attraverso la stampa e la radio, cresciuta negli anni ’80, dove si affermava la televisione ed i telegiornali, e diventata maggiorenne negli anni ’90, dove cominciarono ad affermarsi i computer e internet, ha dato sempre per scontato che l’informazione che passasse per una qualche tipo di redazione fosse vera, attinente ai fatti e documentata.
Notizie bufala esistevano già, ma senza la cassa di risonanza del web eravamo portati a pensare che i giornali che avevano una redazione e dei direttori responsabili avevano l’obbligo morale e deontologico (oltre che legale) di verificare le fonti ed in caso di false notizie pubblicare una pronta smentita e/o ritrattazione.
Perché questa lunga premessa?
Come spesso è accaduto nella mia vita, il cinema ha rappresentato, oltre che uno scrigno pieno di visioni, anche una fonte inesauribile di spunti, idee, curiosità e il più delle volte anche di vera e propria conoscenza.
Fu così che qualche anno fa mi imbattei in tv in un film che narrava una storia della quale non conoscevo assolutamente nulla e che raccontava le vicende di un giornalista di un autorevole giornale americano, che risalì rapidamente la scala del successo professionale e del riconoscimento sociale scrivendo una serie di articoli che però erano quasi interamente inventati.
Questo film si chiama “L’inventore di Favole” (USA 2003), scritto e diretto dal regista Billy Ray, e racconta le gesta di Stephen Glass, un giornalista del settimanale (poi quindicinale) americano “The New Republic”.
Nel film è l’attore Hayden Christensen ad impersonare il giornalista Stephen Glass, conferendo al personaggio la giusta dose di simpatia, fascino e ambiguità. Il film racconta la scalata al successo di Glass e lo scontro fra questi ed un collega, Adam Penenberg, del Forbes.com, che, analizzando le fonti di un pezzo di Glass sul mondo degli hacker (Hack Heaven – Paradiso degli hacker, apparso sul New Repubblic il 18 maggio 1998), scopre una serie di incongruenze e fonti false o fittizie, arrivando alla conclusione che il “pezzo” in questione fosse stato interamente inventato.
Il film, attraverso un uso sapiente del flash back, spiega la vera e propria tecnica di costruzione degli articoli da parte di Glass, una tecnica che vediamo già adoperare dal protagonista mentre tiene delle lezioni di giornalismo a degli studenti liceali, lezioni che più che di giornalismo sembrano laboratori di storytelling.
Il film, girato come un docu-drama, vede una regia asciutta e rigorosa da parte di un Billy Ray in stato di grazia, che dirige un cast di attori giovani, ma solidi e professionali, fra cui spiccano le interpretazioni di Peter Sarsgaard nei panni di Charles “Chuck” Lane, neo direttore del New Repubblic, e quello di Chloë Sevigny nei panni di Caitlin Avey, una collega ed amica di Stephen Glass.
La sceneggiatura, dello stesso Billy Ray, è stata tratta, come ci ricordano i titoli di testa, da un articolo apparso sul magazine Vanity Fair nel settembre 1998, scritto dal giornalista Buzz Bissinger, dal titolo Shattered Glass, titolo che gioca con il significato del cognome del protagonista, Glass (vetro), e quindi la traduzione letterale è “vetro i frantumi”.
Senza voler svelare altro su di un film che dovrebbe essere visto da tutti quelli che si occupano di comunicazione, come da qualunque aspirante giornalista, addetto stampa e, visti i tempi in cui viviamo, soprattutto blogger, il film rappresenta, per tutti gli altri, una ottima palestra per esercitare il pensiero critico. Infatti mette in scena una storia realmente accaduta in una delle più prestigiose riviste americane, fondata nel 1914, di orientamento liberal, che, come ci viene ricordato anche nel film, è la rivista ufficiale presente sull’Air Force One, l’aereo del presidente degli Stati Uniti d’America. Un fatto quest’ultimo che ci mette in guardia sull’autorevolezza, presunta o reale, del mezzo che diffonde l’informazione. Le successive indagini interne del New Repubblic rilevarono che ben 27 dei 41 articoli pubblicati da Glass erano parzialmente o interamente inventati.
Inoltre, per una certa ironia della sorte, lo scandalo di Stephen Glass fu rivelato da una redazione on line, quella di Forbes.com, e questo fatto rappresenta una pietra miliare nella storia del giornalismo on line che allora, alla fine del secolo scorso, ancora combatteva ad armi impari con la stampa tradizionale.
Oggi le cose sono molto cambiate rispetto al 1998, il nuovo secolo ha consacrato il web come nuova e pressoché unica fonte universale di informazioni e notizie, la gente che legge i quotidiani cartacei è, di anno in anno, in diminuzione. La natura stessa dell’informazione è cambiata, in un mondo che va sempre più veloce e di fretta, non c’è più spazio per l’approfondimento e la riflessione, spesso ci limitiamo a leggere solo i titoli degli articoli per farci un’idea in proposito; molte volte non facciamo neanche quello, ma ci limitiamo a “leggere” le foto e “vedere” gli articoli. Insomma, la nostra conoscenza è molto più vasta di prima, ma anche meno profonda, più lacunosa e sensibile alle manipolazioni esterne.
Cosa possiamo fare?
Come al solito non ci sono né formule magiche né ricette semplici che possiamo proporvi.
Personalmente posso solo consigliarvi una via che può essere intrapresa con successo da chiunque, una via che, badate bene, non ci esenta dall’essere presi in giro o forviati dallo Stephen Glass di turno, ma una via che ci consente, se percorsa con serietà e dedizione, di evitare la maggior parte degli imbonitori e/o millantatori dell’informazione.
Qual è questa via?
Solo una, quella della ricerca spasmodica e incessante della verità, che si può perseguire coltivando la curiosità, la dialettica, il confronto, la ricerca, tutte cose che possiamo riassumere sotto l’etichetta di quella parola magica che è “cultura”, che ci è necessaria perché, alla fine, è l’unica cosa che ci addestra e ci allena al cambiamento. Cambiamento che è inevitabile e connaturato con la nostra stessa vita.
Anche il padre del giornalismo moderno Joseph Pulitzer lo disse molto chiaramente:
“Un giornale (ma anche un giornalista) che è fedele al suo scopo si occupa non solo di come stanno le cose, ma di come dovrebbero essere.”