Christian Zorico (162)
Giovedì 10 Marzo entra in scena Mario Draghi, regalando al mercato misure inattese. Nello specifico, viene tagliato il tasso di deposito da -0.30% a -0.40%, ridotto il tasso di rifinaziamento dallo 0.05% allo 0%, viene incrementato di 20 mld l’attuale piano di aquisti (QE) da 60 mld a 80 mld di euro; viene annunciata la misura di inserire obbligazioni corporate (investment grade, non bancarie) nel programma di acquisti, viene innalzato il limite sulla singola emissione (solo supernationals) dal 33% al 50% e lanciato un nuovo piano di 4 LTRO (T-LTRO 2), uno ogni trimestre, per i prossimi 4 anni.
Con quest’ultima misura le banche avranno la possibilità di prendere a prestito fino al 30% del loro eligible loan book; in pratica i prestiti saranno offerti al refi rate (ora settato allo 0%), ma se una banca supererà un benchmark di net lending il tasso potrà scendere fino al depo-rate (-0.40%). Non ci sarà l’obbligo di ripagare anticipatamente i fondi se il net lending non verrà mantenuto e, inoltre, le banche potranno spostare i vecchi presititi ricevuti nei precedenti LTRO alle piu’ favorevoli condizioni del T-LTRO 2. In profonda sintesi Draghi, con questa mossa, facilita la fruizione del credito. Offre alle banche, in pratica, di potersi finanziare ed essere anche remunerate, per l’implementazione della loro attività caratteristica. Offriranno, quindi, prestiti ai consumatori e agli investitori con ancora più sostegno da parte della Banca Centrale Europea.
E allora perchè mai il mercato nella giornata di giovedì ha invertito i rialzi facendo segnare chiusure fortemente negative in Europa? Tutti hanno dato la colpa ad una frase di Draghi: “non vi aspettate ulteriori tagli sui tassi in futuro”. Il due anni tedesco si rialza e passa da -0.56% a -0.46%: un movimento di 10 pips che si ripercuote con forza sul cambio Euro/Dollaro che, dopo aver toccato i minimi di giornata a 1.0833, recupera quasi 4 “figure” sino a toccare i massimi di giornata a 1.1217. Questa reazione del mercato mi è sembrata del tutto naturale, conseguenza legittima di quanto dichiarato da Draghi, volontà ferma di non proseguire nella battaglia valutaria (intesa apparente tra i diversi banchieri centrali dopo il summit del G20) e, in ultima istanza, segnale che il destino del cross tra le due valute ora è nelle mani della FED.
Nei fatti Draghi non solo irrompe sulla scena politica europea, ma lo fa con pieni poteri, si assume il ruolo di guida per le altre banche centrali dei paesi sviluppati e quello di salvatore per le economie emergenti la cui bilancia dei pagamenti dipende fortemente dalle esportazioni di materie prime. Se la BCE ha contribuito ad arrestare la corsa del dollaro, indirettamente agevola il corso delle materie prime. Una stabilizzazione delle stesse risulta una panacea non solo per i paesi emergenti, ma risulta benefica anche ai fini dell’inflazione. Pertanto come la giornata di venerdì ha evidenziato, la reazione da panico dell’equity è stata quanto meno esagerata, non motivata certamente. Staremo a monitorare ovviamente Kuroda e le azioni della BOJ (sulle quali le aspettative del mercato non sono troppo esagerate) e le indicazioni della Yellen al prossimo meeting della Fed (15 e 16 Marzo) per valutare se il mercato possa prendere in senso negativo questo eccesso di politica monetaria. A mio avviso, l’operato di Draghi si traduce in un acquisto massiccio di tempo. Sta di fatto regalando tempo ai governi nazionali, chiamati a dover mettere sul campo politiche fiscali a sostegno della crescita, pur sempre nel rispetto dei vincoli di bilancio.