Lo Specchietto Retrovisore – 20 Marzo 2016

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Christian Zorico (162)

 

 

 

 

Immagine3E venne Draghi che a marzo ha espanso il suo QE, ma ha anche annunciato di non voler intraprendere una battaglia valutaria. Repentino rafforzamento dell’Euro e contestuale indebolimento del dollaro.
E venne Kuroda che, pur lasciando intendere il giorno seguente il meeting della BoJ, che ulteriori tagli a tassi già negativi sono possibili, ha di fatto solo espresso preoccupazione sullo stato attuale dell’economia, ma non è intervenuto né sui tassi né sul piano di acquisti.
Se volessimo trarre un’indicazione comune nell’atteggiamento delle due Banche Centrali, sicuramente è stato ribadito con forza quanto emerso nell’ultimo G20: è giunto il tempo di non intraprendere ulteriori battaglie valutarie.

E come nel testo di Branduardi: venne la Yellen che si mangiò Kuroda e Draghi.

1393517013000-GTY-475264581Il FOMC ora prevede solo due rialzi per la fine dell’anno (rispetto ai quattro del precedente meeting) e lascia invariato a 4 rialzi l’intervento per il 2017. L’atteggiamento più dovish si evince anche dai toni con cui descrive lo stato attuale dell’economia: a gennaio erano attenti a monitorare l’evoluzione dell’economia globale e eventuali impatti sul mondo del lavoro e del target su inflazione. Ora esprimono preoccupazione perché ritengono latenti i rischi di un deterioramento. Così facendo, quindi, spostano l’attenzione dalla loro economia, che pur ha mostrato segni di un sostanziale stato di grazia (gli ultimi dati hanno sorpreso positivamente su crescita, lavoro ed inflazione) al mondo intero. Certamente più volte abbiamo ribadito il ruolo della FED come centrale per l’evoluzione dell’economia intera, ma a questo punto sembra sia proprio lei ad aggiungere volatilità alla volatilità già esistente sui mercati. Ci siamo più volte lasciati con questo monito: guardiamo i dati e proviamo, pur senza anticipare la FED, almeno a capire quale direzione i tassi e il biglietto verde dovessero prendere.

o.346263La reazione del decennale americano, sceso di circa 10 bps dopo il meeting della FED e soprattutto il movimento del dollaro deprezzatosi di circa due figure rispetto all’euro, mostrano come il mercato stia in effetti scontando una politica monetaria dell’America, ancora a supporto dell’economia. Il petrolio e le altre materie prime ringraziano, con recuperi direttamente proporzionali alla debolezza del dollaro. I paesi emergenti continuano il loro rally, ma a questo punto è quantomeno prudente porci delle domande. Interroghiamoci sui dubbi della FED, perché al momento il mercato non sembra preoccuparsi di comprare tassi nominali sotto l’1.90%, pur in un contesto in cui l’indice core PCE è all’1.7% e il core CPI al 2.3%.

Continuo ad essere dell’avviso che l’atteggiamento più opportuno sia diventato, sempre con più validità, quello di monitorare i prossimi dati provenienti dall’America. Mi trovo a sposare l’idea che pur avendo le banche centrali la possibilità di far leva sui tassi, i rendimenti almeno sulla parte lunga, abbiano raggiunto un livello sotto il quale sarà difficile scendere. Malgrado l’ultimo rimbalzo delle materie prime sia da considerarsi quanto meno “viziato” dall’andamento del dollaro, una stabilizzazione delle stesse fornirebbe un floor per le aspettative di inflazione future.draghi_2547869b

Pertanto contestualizzato con i dati attuali, probabilmente la FED ha perso un’altra occasione per normalizzare la sua politica monetaria. Chiudo questo appuntamento dello “Specchietto retrovisore” con questa riflessione, sperando che non sia invece ancora necessaria una politica accomodante.

A questo punto sono molto curioso della reazione della PBOC,  perché nella “settimana delle Banche Centrali”, manca all’appello la Cina. Di fronte ad un dollaro più debole, dinanzi ad una prospettiva in cui anche le altre banche centrali possano continuare nella loro personale guerra valutaria, è lecito aspettarci che la Cina non resti a guardare.

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