Nel non accettare la nomina di Paolo Savona al Ministero dell’Economia, Sergio Mattarella fa riferimento esplicito nel suo discorso a motivazioni che potrebbero allarmare gli investitori e risparmiatori, sia italiani che esteri. In particolare si legge “…non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro.“
Un comunicato che non lascia spazio ad equivoci e forse dovremmo partire proprio dalla chiarezza di questo messaggio per districarci nel vivace dibattito che vede centrale la tenuta dell’Europa e della sua moneta.
Un merito che bisogna infatti riconoscere a chi si sgola, twitta e regala perle di saggezza liofilizzate in post sui social network, molto spesso senza il supporto di numeri e base scientifica, risiede nella immediatezza comunicativa. Inutile nascondersi dietro epiteti che provano a ridimensionare il fenomeno ai malumori della pancia dell’elettorato. Prima di tutto perchè si tratta di una pancia non solo italiana, ma di un sentimento diffuso anche in altre nazioni. Inoltre la pancia si esprime in modo chiaro, efficace, diretto. La sua forma di comunicazione è vincente perchè virale, perchè si autoalimenta, perché trova sempre un’altra pancia vuota che ha la necessita di nutrirsi, di stigmatizzare in un concetto lontano, le proprie paure, i propri insuccessi e carenze, le proprie colpe del passato. E invece chi sostiene che tutto sommato la presenza dell’euro, per quanto non rappresenti l’ottimo paretiano, sia l’elemento indiscusso da cui partire per migliorare l’intera esperienza europea, spesso comunica in maniera meno efficace. Si ritrova a spiegare concetti complessi (eppure gli stessi degli anti europeisti) non riuscendo a cogliere il fine ultimo di una buona comunicazione. Giungere alla testa delle persone, passando anche dalla pancia delle stesse qualora se ne avvedesse l’opportunità.
È già iniziata la campagna elettorale. Se l’allargamento dello spread segnala che la soglia di attenzione dei mercati si è già innalzata, dall’altro lato il termometro sociale ci indica che la popolazione italiana potrebbe anche valutare positivamente un eventuale voto di rottura.
Un merito che bisogna infatti riconoscere a chi si sgola, twitta e regala perle di saggezza liofilizzate in post sui social network, molto spesso senza il supporto di numeri e base scientifica, risiede nella immediatezza comunicativa.
Ricordo uno studio di qualche anno fa pubblicato su Linkiesta.it, che torna inevitabilmente d’attualità e che apprezzo, perchè con rigore scientifico analizza le diverse variabili messe sotto accusa dagli anti euro. Chiaramente i detrattori della tesi pro-euro possono obiettare sulla valenza della metodologia statistica adottata o il controllo sintetico, da parte degli autori (Tommaso Nannicini, Alessandro Saia, Paolo Manasse). Tuttavia proprio attraverso una simulazione rigorosa si tenta di simulare cosa sarebbe successo all’Italia se non avesse adottato la moneta unica.
Qui di seguito mi sono permesso di estrapolare qualche punto del loro studio. Anzi potremmo anche andare oltre e sintetizzarli come se fossero dei tweet. Poche parole che però giungano al maggior numero di persone. E anche qualora il messaggio non ci dovesse piacere a primo impatto, comunque ci lascia il seme della riflessione.
- Orizzonte temporale: consideriamo anche la data di inizio dei cambi fissi, 1 gennaio 1999. Prendere in esame la data del 1 gennaio 2002 (moneta circolante) potrebbe essere fuorviante.
- Commercio con l’estero: pollice su, un bel like. “i flussi bilaterali tra l’Italia e i paesi Euro sono aumentati in maniera sostanziale”.
- Inflazione: non c’è stata alcuna impennata inflativa. Con l’avvio dei cambi fissi abbiamo addirittura una riduzione dell’inflazione in Italia rispetto al suo sintetico”.
- Spread e rendimenti dei titoli di stato: grazie Banca Centrale Europea. Nell’articolo ovviamente si fa riferimento a dati fino al 2013 e ci si ritrova comunque in una situazione di parità di andamento. Tuttavia grazie al massiccio intervento del quantitative easing sono proprio i paesi della periferia che hanno beneficiato dell’abbassamento dei rendimenti e della convergenza degli spread verso la Germania. Un’altro slogan, potrebbe essere il seguente: lo spread non è il nostro nemico. Se paghiamo poco, tutti ne beneficiano. L’intero sistema Paese se ne giova, coincide con l’interesse degli italiani.
- Crescita e produttività: nota dolente. Ma è colpa dell’Europa o demerito nostro? Sul tema crescita anche la Germania “perde” qualcosa in termini di PIL nel confronto rispetto al potenziale contrattuale.
…chi sostiene che tutto sommato la presenza dell’euro, per quanto non rappresenti l’ottimo paretiano, sia l’elemento indiscusso da cui partire per migliorare l’intera esperienza europea, spesso comunica in maniera meno efficace.
Paradossalmente l’Italia mostra uno scostamento inferiore. Ma è proprio sulla produttività del lavoro dove l’Italia si scosta dal paniere di Paesi presi come unità di controllo sintetico (Regno Unito, Turchia, Danimarca e Israele con pesi differenti). Una plausibile spiegazione potrebbe risiedere nella mancanza di adozione di riforme che marciano nella direzione giusta. Più facile cullarsi e farsi coccolare sotto l’ombrello dell’Europa che rimboccarsi le maniche. Si sono persi anni utili per attuare le giuste riforme e ora si attacca l’Europa. La si indica come la radice dei propri mali.
Il debito pubblico, enorme è e resta nostro, non dell’Europa. Chiaramente l’impalcatura europea si può e si deve rafforzare; l’intera macchina burocratica si modificherà nel tempo per migliorarsi. Tuttavia la moneta unica non può che rappresentare la base di partenza, garantendo a tutti i cittadini europei la medesima solidità. Ogni spinta che porti alla deriva dall’Euro va nella direzione opposta, erodendo la solidità del sistema Europa e creando singole soluzioni più deboli, non fosse altro per l’esigenza di dover siglare nuovi accordi commerciali e per imbarcarsi in un’esperienza con una valuta più debole e spinte inflazionistiche.
Christian Zorico: LinkedIn Profile