Christian Zorico (162)
E super Mario? Che fine ha fatto il potere persuasivo della comunicazione della BCE?
A guardare bene il discorso del governatore della Banca Centrale Europea del 19 gennaio, non ci sono elementi per non poterlo definire accomodante. Viene confermato l’attuale piano di acquisti: 80 billions fino a Marzo 2017 per poi abbassare a 60 billions di euro previsti fino a Dicembre 2017. Mai la parola tapering è stata pronunciata, così come l’appunto sull’inflazione resta dovish nei toni. Infatti l’inflazione headline più alta registrata a dicembre, +1.1% contro lo 0.6% di novembre, è frutto delle dinamiche sul prezzo del petrolio. Il supporto monetario, aggiunge, resta indispensabile affinché l’inflazione sottostante si muova nella direzione dei target prefissati.
Un giornalista ha chiaramente cercato di provocare una reazione in Draghi, evidenziando una probabile obiezione tedesca verso una politica dei tassi così a lungo espansiva. Tassi bassi erano congeniali per l’Europa intera, Germania compresa. Inoltre, Mario Draghi ha sottolineato che l’azione della Banca Centrale Europea nel mantenere i rendimenti in territorio negativo per molto tempo è condizione necessaria per rendimenti futuri più alti. Ecco forse in quest’ultimo passaggio si può trovare qualcosa che lasci presagire prima o poi ad un cambio di tendenza. Ma nello specifico, riferendosi a tassi reali più alti, è evidente che Draghi confidi nel ruolo dell’inflazione. Una pressione che è capace di normalizzare i rendimenti quasi in maniera naturale.
Anche analizzando la risposta dei mercati, la lettura finale sembra essere questa. Euro più debole inizialmente sulla spinta di toni dovish per poi recuperare terreno, come se l’effetto Draghi stia iniziando a dissiparsi (anche giustamente aggiungerei), considerato che l’effetto sorpresa è destinato a scomparire in una politica monetaria che volge alla sua tappa finale. E infatti il bund non ha mai smesso di essere venduto, benché provenisse da giornate deboli. Rendimenti più alti in Europa, che seguono il movimento della curva americana, quasi a mostrare con forza che un divario delle due azioni economiche non è poi così marcato in questa fase. Ne consegue che tutti quelli che scommettevano sulla parità tra euro e dollaro sono costretti ad aspettare. E aspettiamo allora qualche indicazione dalla FED: da un lato più accondiscendente ad accettare un dollaro più forte e, dall’altro, ad evitare che si faccia tirare la giacca dal nuovo presidente americano, che probabilmente non guarderà di buon occhio un biglietto verde troppo forte.
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