Avevamo detto che Draghi sarebbe stato il vero “game changer” dopo il suo atteggiamento più aggressivo tenuto a Sintra. Eccolo arrivare all’appuntamento di luglio della Conferenza della BCE carico di aspettative e con l’arduo compito di dover calmierare l’interpretazione che il mercato aveva impresso: va dissipato il pericolo di un taper tantrum. E cosi Mario Draghi pur sottolineando che i dati macroeconomici confermano il momentum positivo per l’economia europea, ribadisce che il target del 2% di inflazione resta ancora lontano e che la banca centrale continuerà a muoversi con l’intento di raggiungere l’obiettivo principale del proprio mandato. Parla come ci si possa aspettare da Draghi, rinnovando il messaggio che l’autorità centrale è a supporto dell’economia con ogni mezzo necessario, soprattutto mostrando come la credibilità e le aspettative giochino un ruolo fondamentale in questo campo.
Ma parla anche come un Draghi più oltreoceano, soprattutto nel rispondere alle domande dei giornalisti. Resta infatti debole la novizia di particolari sul prossimo annuncio di riduzione del piano di acquisti. Nulla viene aggiunto sulla dimensione (probabilmente si passerà dai 60 billion di euro per mese ai 40 billion nell’ultimo trimestre del 2017) e sulla data di annuncio che resta un più generico “autunno”.
Resta da notare come il comportamento delle principali variabili finanziarie sia stato diverso nelle sue reazioni. La volatilità che ci saremmo aspettati tipicamente dinanzi ad un annuncio di normalizzazione della politica monetaria (sia pur essa graduale e aiutata dalla massima dovishness possibile) si è riverberata sulle valute. L’euro forte del suo movimento dei giorni scorsi, ha continuato la sua corsa toccando 1.1683 andando quasi a chiudere il gap che si era creato da 2 anni nei confronti del biglietto verde. Ma a guardare bene, il movimento è stato esacerbato non solo dalla forza relativa dell’euro che deve scontare un processo di normalizzazione, che dopo un lungo periodo di sottovalutazione tenta di riportarsi vicino ad un valore più congruo di equilibrio. È anche la debolezza del dollaro, legata alle vicende di Trump Jr e all’impeachment dal sapore Russo nelle Presidenziali. A rendere il puzzle ancora più complesso, è l’andamento dei bond governativi. Il prezzo della parte core ha segnalato ancora fame di rendimento, cosi come la periferia ha addirittura espresso con più magnitudo l’effetto di scarsità. Una scarsità che ignora il processo di normalizzazione, e che reputa i prossimi acquisti, sia pure più limitati, sufficienti a difendere questi rendimenti così bassi. L’azionario infine forse ha il comportamento più sensato, perché riflette un euro più forte e sembra guardare molto più al futuro che allo statement compiacente di Draghi.
Insomma in altre occasioni avremmo avuto un andamento dell’equity in linea con i bond.
I prezzi delle due asset class si sarebbero mossi nella stessa direzione. Qualcosa di diverso è accaduto, il mercato si è accorto che la Banca Centrale Europea è a supporto dell’economia e che il suo intervento si declina attraverso l’acquisto di bond. Chiaro l’effetto sostituzione, in termini di rendimento, dalla carta governativa e corporate verso l’asset class più rischiosa, ma è anche evidente che l’azionario può scontare un euro più forte cosi come deve riflettere quella mancanza di riforme strutturali che Mario Draghi continua a denunciare ai diversi governi europei.
Lo abbiamo più volte evidenziato, il ruolo della BCE in ultima istanza si sta esplicando nel comprare del tempo e regalarlo all’Europa intera. Devono arrivare riforme, quelle annunciate da Macron per esempio, ma per ora ferme in annunci elettorali. Dobbiamo osservare non solo dati economici a supporto ma anche un mercato del lavoro che esploda di salute. L’inflazione deve giungere dal mondo del lavoro, proprio come si auspica Draghi, affinché si possano considerare davvero efficienti i risultati di una così prolungata politica espansiva.
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