Una tradizione tutta americana quella del Black Friday, corrispondente al giorno successivo al Thanksgiving, il quarto giovedì di novembre. Una tradizione che è stata esportata in tutto il mondo e che da il via ufficiale agli acquisti natalizi. Una pratica commerciale che se nel passato rappresentava un evento importantissimo per i negozianti e centri commerciali per far esplodere il loro business, con l’avvento degli on-line shops, ha assunto addirittura un’importanza vitale. Si parla di sopravvivenza per i negozi e forse di sopravvivenza stessa del Black Friday per come lo intendiamo storicamente con la calca di gente all’apertura delle catene commerciali.
Un fenomeno quello più ampio delle vendite tradizionali messo a rischio non solo dall'”amazonificazione” degli acquisti. Chiaramente le vendite on-line hanno il loro peso specifico nel minare le basi dei retailers: dal 2005 il termine Cyber Monday, un termine pienissimo di elementi di marketing, sintetizza celebrando l’abitudine di rivolgersi alla rete per i consueti acquisti natalizi il lunedì successivo al Black Friday, facendo di fatto l’intero weekend un termometro importante dello stato di salute di un’economia.
E guardiamo allora assieme qualche numero. La presenza di utenti nei negozi nella sola giornata di venerdì è scesa di meno dell’1% rispetto al 2016, una flessione che sale al 2% raggruppando anche la giornata di giovedì sempre secondo le stime di una società di analisi dei dati “ShopperTrack”. Un dato quest’ultimo che non desta particolare preoccupazione visto il numero di gruppi commerciali che ha deciso per la chiusura nella giornata del Thanksgiving. Molto più allarmante invece il trend in atto che riguarda i negozi on-line, allarmante sia chiaro per la rete tradizionale. Nelle 24 ore di venerdì infatti negli Stati Uniti sono stati spesi ben 5 miliardi di dollari facendo segnare un incredibile incremento di circa 17 punti percentuali rispetto al 2016. E allora sarà importante capire dalle prossime trimestrali la dimensione del giro di affari degli storici colossi delle vendite al dettaglio.
Non vivono ovviamente tutti la stessa condizione; maggiore efficacia nei processi di comunicazione, efficientemento economico, gestione dell’on-line che tenta di colmare il Gap con i siti specializzati e politiche di fidelizzazione, stanno aiutando i più abili a controbattere questa che si delinea come una crisi non passeggera. Tutt’altro la sofferenza reale e il numero crescente di processi di fallimento mostra un dato su tutti che deve farci riflettere. La crisi dei retailers avviene proprio nel periodo di massima espansione dell’economia, una fase del ciclo in cui la propensione agli acquisti dei consumatori e la loro fiducia risultano sui valori all’apice. Una naturale flessione dell’economia, insieme ad un rialzo generalizzato dei tassi di interesse che riduce il potere di credito degli acquirenti, potrebbero rappresentare per un’industria già labile, una vera mareggiata.
Per questo prima affermavo che non si deve “colpevolizzare” soltanto Amazon. Tra le cause del declino dei retailers, molte sono endemiche e ascrivibili ad una errata valutazione del processo evolutivo del business on-line proprio nella fase ormai satura dei grandi “Mall”. Un investimento nel real estate possibile solo grazie ad un forte indebitamento. Questo fa molta più paura rispetto a quote di mercato perse. Soprattutto perché il debito ti impone una tabella di marcia per riacquistare quote o per ristrutturare, efficientando, l’intera struttura.
In questo senso parliamo di sopravvivenza dell’intero settore. È una questione di tempo e probabilmente assisteremo ad un processo di aggregazione, ma è anche una questione sociale. Cambiano le abitudini degli acquirenti sempre più presi con la carenza di tempo e forse sempre più orientati all’acquisto di prestazioni che di singoli beni. E allora la partita si gioca anche attraverso la capacità dei grandi centri commerciali di reinventarsi, di offrire sempre più servizi che singole merci.
Christian Zorico: LinkedIn Profile