Lo Specchietto Retrovisore. Il contratto di governo: ci si misura ancora con lo spread e le promesse.

Blog di mercati e finanza a cura di Christian Zorico (rubrica settimanale)

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Contratto di Governo. Fonte: Espresso.it

È davvero raro che gli appuntamenti dello “Specchietto Retrovisore” si colorino di politica. O meglio, molte volte è accaduto che avvenimenti geo-politici abbiano influenzato i giorni che precedevano la stesura dell’articolo, tuttavia l’angolo restava più legato alle dinamiche caratterizzanti i movimenti di mercato.

Il nuovo contratto che invece i due movimenti populisti in Italia hanno intenzione di implementare mi spinge oltre.

Accantoniamo subito le reazioni dei mercati, che hanno nei fatti bocciato quanto partorito dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle. Lo spread torna in area 160 punti base, molte società hanno “pagato” alcune dichiarazioni poco amiche del mercato e mi riferisco al caso Monte Paschi cosi come all’azienda Enel, infine l’intero indice azionario si ritrova a perdere circa il 3% nel corso dell’intera settimana. Una settimana evidentemente incentrata sulla stesura del contratto di governo e sull’uscita mirabolante di una bozza che ha letteralmente messo in guardia sulla natura dirompente del nascente governo. C’è da dirlo sin da subito, l’ultima versione del contratto appare più malleabile, ricca di principi che toccano sia la pancia del Paese sia evidentemente alcune esigenze del sentire comune. Difficile non essere d’accordo nel momento in cui si mira ad ottenere più equità sociale. In effetti i dolori di pancia nascono riverberandosi sullo spread, indice del gradimento del mercato nel momento, in cui si toccano argomenti cari all’economia.

Attenzione però, almeno in questo occorre essere perentori e logicamente onesti: i mercati non puniscono, non attaccano, semplicemente si aggiustano al nuovo set informativo. E di questo parliamo nelle prossime righe. Da un’analisi effettuata dall’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, CPI, diretto da Carlo Cottarelli, si evince che le ragioni per aver mal di pancia sono tante. Oltre 100 miliardi previsti sulla base delle proposte effettuate nel contratto; una stima, quest’ultima, che potrebbe lievitare dal momento che alcuni dettagli applicativi, sia della Flat Tax che del Reddito di Cittadinanza, appaiono ancora non chiarissimi.
Ma sono soprattutto le coperture ad essere chiaramente insufficienti.Contratto di Governo. Fonte: Espresso.it

Ed a nulla sono valse le dichiarazioni che chiedono ancora tempo per identificare pienamente le voci di copertura necessarie. Tutt’altro, amplificano il senso di disagio e connotano le eventuali misure che i due partiti si apprestano ad implementare come davvero populiste, sia negli annunci della campagna elettorale, insensati ma almeno legittimi perché volti a conquistare quanti più elettori possibile, sia nel seguito, a vittoria ottenuta. Infatti promettere ancora che saranno in grado di attuare l’intervento sulla flat tax (circa 50 miliardi l’anno), il reddito di cittadinanza (ben altri 17 miliardi, sebbene posticipati almeno tra due anni dopo aver provato a rinforzare, inutilmente con soli 2 miliardi i centri di lavoro) e ancora la sterilizzazione dell’aumento dell’IVA (che solo per l’anno in corso costerà 12.5 miliardi), provoca uno scompenso per le casse dello Stato perché non rimpinguato da nuove entrate.

Nell’attesa di magici moltiplicatori, la contropartita passa inevitabilmente dal debito. Effettuare ancora nuovo debito non è propriamente preso a buon viso dai mercati, questi cattivoni che insieme all’Europa vogliono blindare i conti dei Paesi dell’Unione Europea. Scusate la facile ironia, ma purtroppo la situazione è drammatica nell’essenza, perché dietro i nuovi politici, le nuove figure che si arroccano ad esperti di economia, si accodano elettori, followers, seguaci, insomma una pletora di gente che poi a quelle promesse ci credono. Ripongono piena fiducia, ossequiando i diversi protagonisti dell’attuale scena politica italiana, con seguace ignoranza. Una ignoranza 2.0 in un sistema quanto mai evoluto, molto più difficile degli anni passati eppure apparentemente a portata di mano attraverso un click che ci aggiorna su una voce con wikipedia oppure ci permette di bannare una voce contraria che si è levata alle nostre opinioni.

E allora ridimensioniamo il termine ignoranza con quello meno provocatorio di opinione.

Per quanto un’opinione personale possa essere affascinante resta sempre opinabile dinanzi alla realtà dei fatti, dinanzi ai numeri perché quelli si sono garanzie e non semplici riflessioni.
Quando non si identificano eventuali voci di copertura oppure si proclama liberamente di aggiungere debito (o per assurdo chiedendo un regalo all’Europa maligna e al suo braccio economico della Banca Centrale Europea) si dichiara di mettere a rischio la credibilità del Paese stesso e la sua capacità di contrarre nuovo debito senza il quale l’intera macchina già esistente non potrebbe continuare ad avere benzina.
Si ferma, tutto qui.

E neanche l’idiozia di foraggiarsi internamente con dei MiniBot ha senso economico, perché sempre di credibilità si parla. Ottenere come contropartita di crediti statali dei ben disegnati Minibot vuol dire immaginare una moneta parallela (intesa come mezzo di pagamento da affiancare all’Euro) con un controvalore facciale che non può corrispondere al vero valore, inficiato proprio dalla credibilità dello Stato Italiano. Quanto poi agli effetti inflattivi di un’eventuale cestinamento dei titoli di Stato (non solo italiani) in pancia alle varie banche nazionali oggetto di quantitative easing, i diversi tifosi da stadio e da tastiera, si rendano conto che l’aumento dei prezzi o la perdita di valore della propria moneta è una tassa.
Qui non ci sono buoni o cattivi, semplicemente bisogna rendersi conto che per un Paese come l’Italia caratterizzato da alto debito e bassa produttività, la ricetta di un miglioramento per le generazioni future passa inevitabilmente dal risanamento dei due problemi principali. Bisogna diminuire il debito, sicuramente non crearne dell’altro e bisogna investire in produttività a partire dal sistema scolastico, universitario e tecnologico.

Torniamo alla nostra settimana dei mercati e proviamo a guardare oltre.

Nel medio termine qualora si persista nella volontà di attuare misure poco incentivanti il recupero della competitività, il sistema economico Italia soffrirà rispetto agli altri attori soprattutto verso quelli che hanno avuto il coraggio di intraprendere la strada del progresso rispetto ai sussidi nel corso degli ultimi anni, pertanto già in vantaggio. In termini di breve termine, probabilmente i sottoscrittori del contratto si renderanno conto di quanto poi diversa sia l’attuazione di alcuni principi e proposte. Forse molto più semplicemente verrà congelato l’aumento dell’IVA, una misura questa abbordabile per dimensione di conti e propedeutica per continuare a cavalcare dichiarazioni populiste in vista di nuove elezioni. Per il resto del programma (parlo di quanto direttamente ascrivibile ad ulteriore spesa) probabilmente si tradurrà in un nulla di fatto e solo in quel momento quando il mercato inizierà a comprendere la non fattibilità dei diversi punti, lo spread potrebbe rientrare dalla criticità in essere.

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