La parola d’ordine è protezionismo, ma per molti Paesi in realtà si tradurrà in isolazionismo.
L’amministrazione Trump, con le annunciate tariffe del 25% che andranno a colpire fino a 60billion di dollari di importazioni dalla Cina, mira a riequilibrare la bilancia commerciale, il cui disavanzo strutturale preoccupa gli Stati Uniti d’America e conseguentemente si pone l’obiettivo di proteggere il tessuto industriale nazionale.
La risposta della Cina al momento si è rivelata di circostanza, molto più politica che di azione diretta. Tuttavia, il pericolo che la situazione si inasprisca è evidente. Sono stati annunciati possibili dazi sulle importazioni cinesi e individuati 128 prodotti sui quali il neo presidente Xi Jinping potrebbe far ricadere la controffensiva.
Sono evidenti almeno un paio di elementi:
- la guerra valutaria è appena iniziata e altri player potrebbero aggiungersi alla disputa. Penso alla Russia ma anche all’Europa, visto che il Presidente francese Macron, non ha perso occasione per mostrare il suo vero volto ancora una volta. Ostentare misure protezionistiche, chiamando in causa l’intera Europa questa volta, per tutelare l’interesse nazionale e quello europeo, non fosse altro perché la voce diviene leggermente più forte e corale mostrando le proprie istanze a favore di un’Unione Europea.
- a livello globale è ormai nel seme democratico, una sorta di malcontento popolare che ha legittimato la volontà di chiudersi a riccio, di propagandare e infine mettere in atto politiche conto il libero scambio di merci e persone.
Vengono annunciate misure protezionistiche, vengono votate a furore di popolo se pensiamo alla Brexit, alle elezioni politiche italiane, allo stesso Trump. Ed evidentemente alcuni protagonisti fanno paura più di altri. Le proposte propagandistiche antieuropee di Salvini & Co. (perché nell’idea del protezionismo poi si giunge ad un mero isolazionismo sfrenato, ignorando che l’Unione fa la forza, volutamente con la U maiuscola) fanno meno paura di quelle di Donald Trump. La potenza di tiro è chiaramente diversa e così quando durante l’intera settimana appena trascorsa, la preoccupazione di una guerra di dazi è cresciuta esponenzialmente, il vero timore è che altre voci grosse si uniscano al coro. Sono gli equilibri internazionali che possono essere messi in discussione proprio perché Putin o Xi Jinping possono agire da veri imperatori per i loro Paesi.
Quale messaggio possiamo ricavare dalla reazione dei mercati?
Innanzitutto, la correzione dell’azionario ci segnala e probabilmente lancia un messaggio chiaro a Trump, di come una politica protezionistica vada infine ad incidere sui margini aziendali. Quello che spesso accade nell’imporre dei dazi è che anche i produttori interni allineino i prezzi dei propri manufatti a quelli importati maggiorati per le tariffe in corso. Si potrebbe avere un effetto inflazionistico anche per effetto di un dollaro più debole dovuto ai flussi relativi alla domanda internazionale del biglietto verde.
Ci lasciamo con un interrogativo.
Quanto di questa escalation di Donald Trump, non sia spiegata essenzialmente dalla sua volontà di apparire forte al proprio elettorato per le elezioni del Mid Term del 6 novembre 2018?
Se cosi fosse, abbiamo dinanzi a noi ancora molti mesi, un periodo di tempo sufficiente perché la situazione possa degenerare senza un chiaro passo in dietro rispetto ai proclami iniziali. Quello a cui oggi assistiamo è in realtà una forma estrema di isolazionismo; Donald Trump ne incarna perfettamente l’immagine dal momento che anche all’interno della sua amministrazione appare sempre più in una posizione poco comoda. E le guerre dei dazi saranno anche facili da vincere come ha dichiarato in un suo ormai famoso tweet, ma anche gli altri competitors sono dello stesso avviso. Nel mezzo, la popolazione, la gente comune, le persone che hanno anche probabilmente appoggiato e votato Donald Trump.
Qualora la reazione della Cina dovesse ricadere sull’importazione della soia, sarebbero proprio gli stati più amici di Trump a risentirne il peso economico. E anche la Cina probabilmente soffrirebbe costi più alti, dal momento che oltre un terzo della soia consumata in Cina proviene dai campi statunitensi. Chiaramente a farne le spese di questa guerra di dazi, combattuta non con armi convenzionali, ma con tariffe e veti, sarà la gente comune che vedrà lievitare i prezzi delle merci finali.
E se alla fine per anni abbiamo cercato, implorato, l’arrivo dell’inflazione, e dovessimo aspettare questa mossa politica di Donald Trump, magari alla fine ci toccherà anche ringraziarlo. Di certo, queste politiche protezionistiche non sono nuove e probabilmente a Trump bisogna dare il merito di palesarle con più efficacia, nel suo stile. Per il resto invece speriamo che la società non debba fare i conti con un processo di chiusura che porterebbe anche le idee, le persone, l’essenza stessa della collettività ad integrarsi con più difficoltà. Questo sarebbe un costo troppo elevato, non finirebbe nelle statistiche legate all’inflazione, ma avrebbe un peso specifico elevato.
Christian Zorico: LinkedIn Profile