Christian Zorico (162)
A poche ore dal voto che eleggerà il 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America, siamo in “trepida” attesa perchè l’esito risulta quanto mai incerto e forse perchè molto controverso qualunque sia il risultato. Cerchiamo di rileggere assieme gli ultimi accadimenti che hanno condizionato una delle campagne elettorali più brutte della storia americana. Brutta negli attacchi allo stato di salute della signora Clinton, brutta e perversa nel solo discutere gli imbarazzi personali di Mr Trump, bruttissima ancora nello scandolo riaperto dall’FBI sul server di mail private di Hilary. Ed è proprio dal 28 di Ottobre che i “giochi” si sono riaperti e Donald Trump ha recuperato parte del divario dei voti nei confronti della sua rivale; le conseguenze di una sua possibile elezione si sono materializzate in una price action che ha visto premiare i safe haven a discapito degli asset piu’ rischiosi. Più nello specifico una media degli exit polls offerta da “Real Clear Politics” mostra di come il vantaggio di 4.6% a favore di Clinton sia sceso a soli 1.7% (dati aggiornati al 5 novembre).
Traslando dal linguaggio della politica al mondo finanziario, lo YEN insieme al Franco Svizzero hanno guadagnato nella scorsa settimana oltre il 2%. Un altro indicatore di corsa verso il “sicuro” è stato l’apprezzamento dell’oro (circa 3%) e dell’argento in salita oltre il 4.5%. Sicuramente le materie prime indicatrici di voglia di sicurezza, hanno beneficiato anche per la debolezza del dollaro. Quest’ultimo, insieme all’azionario americano, hanno evidentemente sofferto sia per l’incertezza accresciuta (si teme anche per il cinema del riconteggio dei voti) che per una più probabile vittoria del candidato repubblicano.
È come se improvvisamente le coperture dall’evento Trump si siano materializzate. Chiaramente il Peso Messicano si è deprezzato, l’azionario dell’America Latina ha perso circa il
5%, ma a farne le spese sono anche gli indici europei e asiatici (con il Giappone che paga anche l’apprezzamento della sua moneta). Se infatti le azioni Europee stornano circa il 4% del loro valore rispetto alla settimana precedente, sembra evidente il messaggio di fondo: qualora venisse eletto Donald Trump, presidente dell’America, allora gli USA sono il posto dove conviene parcheggiare i propri soldi per un investitore americano. Almeno in chiave “relative” rispetto agli altri indici azionari, l’equtity americano dovrebbe sovraperformare. Nel lungo termine (e sapete bene quanto io sia poco incline a parlare del lungo termine) entrambi i candidati, con il taglio promesso delle tasse e l’incremento della spesa pubblica, dovrebbero essere positivi per l’azionario e almeno in chiave teorica, negativi per i Treasury.
Ma guardiamo più da vicino le relative differenze e cerchiamo di restringere il campo temporale. Innanzitutto, la “festa” in caso di una vittoria di Clinton si esaurirebbe in pochi punti percentuali. Recupererebbe quanto perso nelle precedenti tornate e probabilmente avrebbe poco spazio ancora, anche perchè il mercato scontava già un simile esito fino alla fine del mese di ottobre. In realtà la sua volontà di agire sul capital gain per gli investimenti speculativi di più breve durata cosi come l’intento di calmierare la pressione sui prezzi dei medicinali, lascerebbe due vittime speciali sul terreno. Il settore dei finanziari cosi come l’health care ne uscirebbero con le ossa rotte. C’è da dire che sono due settori che hanno sofferto sin da inizio anno e soprattutto valgono i giusti distinguo. Infatti all’interno del settore legato alla salute, se da un lato i produttori di medicine vedrebbero i loro margini ridursi, è anche vero che gli enti ospedalieri cosi come le aziende più legate ai servizi, potrebbero beneficiare ancora dei sussidi dell’Affordable Care Act. A beneficiare sicuramente dell’elezione del candidato democratico, sarebbe invece il settore legato alle energie alternative. Mentre uno dei settori chiave su cui puntare in caso di vittoria di Trump è quello legato alle costruzioni e al mantenimento di infrastrutture.
Nella realtà però questi sono discorsi validi nel lungo termine. Ancora una volta fatemi citare J.M. Keynes: “In the long run, we are all dead”. Quello che appare evidente guardando le quotazioni americane è che risultano davvero molto costose e non solo guardando i valori storici, ma soprattutto guardando alla situazione presente di fine ciclo economico.
Ignorando però l’esito delle elezioni, mi viene più facile pensare che saranno gli assets fuori gli Stati Uniti a mostrare più volatilità nei giorni prossimi. In caso di vittoria della Clinton, sarei compratore di assets Europei e Giapponesi. Il reverse del trade visto nell’ultima settimana prenderebbe forma. Quello che temo di più sinceramente è un riconteggio dei voti. Il mercato in definitiva odia una prolungata situazione di incertezza.
Appuntamento al prossimo Specchietto Retrovisore.
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