Una delle caratteristiche dei corsi sulla comunicazione, sulla vendita e il marketing è l’utilizzo (quando non si fa riferimento a discipline pseudoscientifiche quali pnl, psicologia quantistica ecc.) di tutto ciò che la scienza mette a disposizione per rendere efficace una comunicazione e far si che essa passi con il minor numero di difese possibili.
Si fa appello alla psicologia delle motivazioni, alla psicologia della comunicazione, così come ci si serve di tutte le ricerche di quest’ultima sulla percezione e, soprattutto, sull’influenza delle motivazioni nella percezione delle immagini e delle parole. Così come si fa appello alle stesse neuroscienze per sfruttare tutto ciò che può essere necessario per utilizzare al meglio le sue scoperte allo scopo di una miglior capacità di persuasione nei confronti del pubblico e di un eventuale – potenziale fruitore di un qualsivoglia prodotto. Forse è tempo che il favore venga ricambiato per far in modo che la scienza, oggi, usi le regole del marketing per essere più efficace nell’ambito della comunicazione e della persuasione. Per il lettore, addirittura, può sembrare un paradosso che la scienza non sfrutti al meglio le sue scoperte in ambito comunicativo per far passare un messaggio molto più utile rispetto a quello di un qualsiasi prodotto commerciale senza il quale non cambierebbe di molto la vita di un utente. Non si spiegherebbe, altrimenti, l’enorme divario tra scienza e gente comune e la difficoltà di quest’ultima nel far tesoro di ciò che la comunicazione scientifica mette a disposizione.
Purtroppo è proprio la comunicazione pseudoscientifica che, contrariamente a quella scientifica, (sembra un paradosso) è molto più avanzata nel “vendere” il proprio prodotto. La pseudoscienza gioca principalmente sulle emozioni (l’unico argomento che può ovviamente avere a disposizione) e sa perfettamente, come anche gli psicologi della comunicazione sanno, che alla gente comune non interessano grafici, dati o semplicemente la comunicazione di un risultato, la gente ama le storie, si identifica con chi ha subito una determinata esperienza e non ha idea di quella che in termini tecnici viene chiamata “validità interna” ossia il rapporto reale di causa effetto tra uno stimolo e la reazione a questo. La gente comune lascia che a giudicare la validità di un lavoro non sia certamente una revisione tra pari, ma le reazioni emotive che tal lavoro suscita. Al cospetto di una presunta guarigione di una qualsiasi pratica alternativa è il lieto fine (anche se fasullo) a dare al cervello dell’ascoltatore la percezione della validità del prodotto. E’ il benessere psicologico che quella notizia ha creato a rendere vera, pur non essendola, la storia appena ascoltata.
Il paragone con il freddo resoconto di un inesistente rapporto causa-effetto tra la pratica alternativa ed una presunta guarigione non regge perché è proprio il paragone ad essere filtrato dal sistema emotivo di un individuo. La realtà dei fatti è confusa con la realtà che vorremmo fosse quella giusta, per cui una cura miracolosa, ma assolutamente infondata, entra nel sistema motivazionale di un soggetto e si allea con il desiderio di quest’ultimo che quella cura diventi realtà. La pseudoscienza, in questo caso, si avvale del cosiddetto “principio del piacere” e sa perfettamente che il nostro cervello è fortemente condizionato da quello che noi vorremmo e che, automaticamente, lo trasformiamo (sempre nella nostra mente) in “realtà” immodificabile.
Lo pseudoscienziato sa applicare la vera scienza solo nella comunicazione (l’unico luogo in cui fa davvero scienza) per cui costruisce storie (quelle che piacciono alla gente), propone immagini emotivamente intense (gente che piange, che ha ritrovato la speranza, che è tornata ad essere fiduciosa grazie alla “nuova” cura e così via..) basti ricordare alcuni talk show dove la comunicazione di un ricercatore è affossata dalla classica “testimonianza” che lo pseudoscienziato o il giornalista inesperto ha portato a sostenere la causa dell’idea “alternativa”. Nella mente del pubblico è la storia che rimane impressa ed è essa che contribuisce a far scartare i semplici dati del povero ricercatore. La memoria registra più facilmente una notizia legata ad emozioni che solo il resoconto clinico, emotivamente significativo (o pseudo-clinico nel nostro caso), può dare. La storia “clinica”, che la pseudoscienza riporta, fa rivivere il percorso emotivo di un essere umano, la sua ricerca travagliata di sollievo fino a quando una sorta di santone laico non tende le sue braccia con il suo ritrovato miracoloso (basti ricordare i servizi pro-stamina, le storie sul web degli anti-vaccinisti o di tutti gli amanti dell’alternativo). Terminato il dibattito cosa pensate che rimanga come elemento di discussione intorno al tavolo di famiglia? LA STORIA appena ascoltata e letta sul web o su una rivista. Ovvio che parte della colpa va ritrovata anche in chi, almeno in tv, lascia maggior spazio alla comunicazione “emotiva” piuttosto che a quella fondata. Ma questo dipende dalla cultura scientifica o meno dello stesso autore che sa o, meglio, non sa distinguere tra lavori fondati scientificamente e non. (Ma questa è un’altra storia).
Se si vuole restringere il divario tra scienza e pubblico allora è il linguaggio del pubblico che lo scienziato deve usare. Ma questo non significa solo l’utilizzo di un linguaggio semplice e comprensibile (molti comunicatori si limitano a questo) ma l’utilizzo di un linguaggio emotivo fatto di sensazioni, utilizzando meno dati e più storie per far si che la gente possa identificarsi. Solo che le storie riportate dalla scienza, per fortuna, hanno basi fondate. Perché è il caso clinico che la gente ascolta, meglio se raccontato anche da un volto noto. Quest’ultimo è una sorta di coadiuvante della comunicazione e lo pseudoscienziato lo sa fin troppo bene. La scienza deve usare lo stesso linguaggio sapendo che dalla sua parte ha i dati, ma quest’ultimi deve tenerli per sé o per chi è appassionato, questi sono solo di supporto alle sue affermazioni. Ma se vuole che passi il messaggio (in tv, ma soprattutto sul web e sulla carta) deve suscitare emozioni. Solo con il linguaggio che l’uomo comune preferisce si può rendere efficace la comunicazione scientifica e ridurre il divario tra scienza e pubblico, quel divario che la pseudoscienza sa come “eliminare” e che ha come effetto anche quello di mettere il pubblico addirittura contro la vera scienza a discapito della salute di tutti.
Tuttavia per chi ha deciso di abbracciare un credo alternativo, spinto da qualche forma di ideologia, non c’è storia che tenga e noi, dalla parte della scienza, dobbiamo farcene una ragione.
Per un approfondimento si veda
Comunicare la scienza. Cicap, 2014 di Armando De Vincentiis.