Vi ricordate di Myspace?
Vi ricordate quanto era bello condividere la propria passione con altri utenti e quanto rivoluzionario ci sembrasse quel modo di interagire senza conoscersi di persona?
Io c’ero e ricordo bene quella sensazione di libertà, ricordo quanto era importante e nuovo per gli artisti potersi connettere con il proprio pubblico senza intermediari, ricordo i pomeriggi passati ad ascoltare musica, condividere pensieri, chattare con chi aveva la mia stessa passione, e tutto questo senza uscire da casa.
Una cosa normalissima ai nostri tempi, adesso che viviamo più online che per strada, fantascienza nei primi anni 2000, in cui internet era solo un accenno di quello che è e sarebbe stato, e raccontare adesso le sensazioni di stupore e meraviglia che si potevano provare utilizzando l’antesignano di tutti i social network equivale a parlare di preistoria anche se sono passati poco più di vent’anni.
MySpace, nato nel 2003 (ma in Italia arriva qualche anno dopo) dall’idea di due studenti americani, Tom Anderson e Chris DeWolfe, diventa in pochi anni la prima comunità virtuale costruita intorno ad interessi comuni, plasmando la cultura online e soprattutto offrendo uno spazio per esprimersi, connettersi e mostrare la propria creatività.
Non soltanto quindi una piattaforma web, ma un vero e proprio fenomeno culturale che ha rappresentato un punto di svolta nella comunicazione online, permettendo agli utenti di esprimere la propria individualità in modi prima impensabili.
Oggi, chiameremmo questa realtà community e la personalizzazione dei profili, con la possibilità di inserire musica, video e sfondi, customizzazione dei profili social, all’epoca fu invece l’idea rivoluzionaria in grado di creare un senso di appartenenza, permettendo agli utenti di costruire una propria identità digitale.
La community, la condivisione, forse era davvero quello che tutti aspettavano, altrimenti non si sarebbe spiegato il successo di MySpace e la sua enorme popolarità, tanto da poter contare 4.500 nuovi profili al giorno, ovvero un nuovo utente ogni 5 secondi e superando Yahoo! e Google come sito web più visitato negli Stati Uniti.
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In poco più di 20 anni, il mondo è passato dall’essere analogico all’essere definito digitale, per poi divenire integrato. Non si fa più distinzione tra offline e online: onlife è la normalità, per usare una bella espressione coniata da Luciano Floridi.
La piattaforma non nacque con lo scopo di diventare il luogo in cui musicisti e fan si sarebbero incontrati ed avrebbero interagito direttamente, creando un legame più stretto e personale, ma fu grazie alla musica e alla possibilità di condividerla che la sua popolarità crebbe.
Dopo MySpace l’industria discografica non fu più la stessa, perse quel potere di scelta, distribuzione e promozione e si assistette ad una vera e propria democratizzazione della musica, permettendo a migliaia di artisti emergenti di farsi conoscere e di crearsi un canale di distribuzione alternativo alle tradizionali case discografiche ed al pubblico di scegliere direttamente chi ascoltare senza alcuna intermediazione.
A beneficiarne artisti come ad esempio gli Arctic Monkeys, Adele, Mika, all’epoca emergenti, ed alla fine anche le case discografiche si dovettero adeguare, promuovendo i propri artisti attraverso la piattaforma e studiando dei lanci discografici pensati ad hoc: tra questi artisti affermati come i Rem, nel 2004, decisero di pubblicare su MySpace il loro nuovo album, “Around the Sun”, capolavoro che ancora ci piace riascoltare.
Ma com’è possibile che un’idea così rivoluzionaria non abbia resistito nel tempo e dall’apice della popolarità di Myspace si sia poi assistito al suo lento e inesorabile declino?
Com’è possibile che in poco tempo ci siamo dimenticati della sua esistenza?
Qualcuno dice che sia tutta colpa di Facebook, in realtà le cause sono molteplici, ma l’evidenza è che effettivamente l’ascesa di Facebook e la sua interfaccia più pulita hanno segnato l’inizio del declino.
MySpace si basava sulla condivisione degli interessi ed esaltava la creatività individuale, Facebook, invece, è più generalista, esalta la quotidianità; non c’è bisogno di essere creativi per avere un profilo Facebook, non c’è bisogno di condividere nessuna arte, solo selfie e pensieri comuni, racconti dei posti che abbiamo visitato o del ristorante in cui abbiamo mangiato, in una sorta di voyeurismo che si autoalimenta tra stories e pettegolezzi.
Ma non è solo questo: nel 2019, un errore di migrazione del server di MySpace ha cancellato milioni di brani musicali, un colpo fatale per la piattaforma che basava ormai la sua identità sulla musica.
Nonostante il declino, MySpace esiste ancora e ci ha lasciato un’eredità indelebile, introducendo concetti chiave dei moderni social network come i profili personalizzabili, le community, la portabilità sui device mobili, senza contare il suo impatto sulla musica, dimostrando il potere della stessa come strumento di comunicazione e di aggregazione sociale.
La storia di MySpace è un monito sulla natura effimera della popolarità online, ma anche una testimonianza del suo ruolo fondamentale nell’evoluzione dei social media, ma intanto ci piace ricordare e rimpiangiamo uno spazio virtuale dove la creatività era l’unica cosa che ci distingueva dalla massa.