La canzone “Video killed the radio star” dei The Buggles è stata in qualche modo una precursora dei (nostri) tempi.
Ciclicamente qualcuno (magari con un po’ di seguito) inizia ad affermare che questo o quello strumento è morto o “stato ucciso”, creando per un periodo un certo hype sull’argomento che, alla fine, trova anche qualcuno disposto a crederci per davvero.
È successo per l’email marketing e per le newsletter che dovevano essere “uccisi” dai social, per i blog che dovevano essere “uccisi” da forme di comunicazione più dirette e veloci, per YouTube che, vado a memoria, doveva essere “ucciso” da Netflix e dintorni.
Tutti morti, tutti uccisi, giusto? No, niente affatto.
Tutti vivi, utili ed efficaci se ovviamente pensati in ottica strategica ed inseriti all’interno di un funnel o di un processo che mette al centro il consumatore, il cliente, l’utente…insomma, il destinatario della nostra attività di marketing e comunicazione.
Certo questi strumenti nel tempo sono cambiati, si sono evoluti, sono stati integrati, ma non sono scomparsi come qualcuno asseriva.
L’ultimo in ordine di tempo è la prospettata morte dell’influencer marketing “ucciso” da decidete voi questa volta.
Complice il caso Ferragni, in molti stanno parlando di quanto gli influencer stiano vivendo una crisi di credibilità e, di conseguenza, anche le loro attività di influencing stiano soffrendo. Non che non sia vero, intendiamoci. La crisi di credibilità è un fatto. E senza credibilità, e fiducia, si ha ben poco da influenzare.
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Con una fan base di di nicchia, avere una relazione diretta con i follower è certamente meno difficile. Le persone che seguono questa tipologia di influencer hanno un rapporto che potremmo definire one-to-one che le fa sentire valorizzate. E questo valore ha, per l’influencer stesso, un grande significato. È la sua vera forza, il suo potere.
Ma, a parer mio, da qui a dire che l’influencer marketing sia morto o, di nuovo “ucciso da…”, ce ne passa. Anzi. Quello che invece possiamo fare è capire cosa fa di un influencer un effettivo influencer, ossia un soggetto capace di avere un impatto significativo nella vita delle persone e di costruirsi un seguito realmente interessato a quello che dice, che fa e, infine, promuove.
Iniziamo allora. Per essere un influencer bisogna avere un pubblico. Ma non basta un semplice pubblico: deve essere coinvolto e deve riconoscere nell’influencer una specifica caratteristica nella quale si identifica o per la quale ha quanto meno un forte interesse. Poi, con questo pubblico, occorre avere un dialogo vero, profondo, quotidiano. Senza non ci può essere relazione. E quindi, altro punto, è necessario creare una relazione duratura e stabile, attraverso il racconto, pubblicando contenuti ingaggianti, fornendo consigli, magari ispirando, etc.. Quando tutto questo c’è, allora si può pensare di promuovere qualcosa. Che sia una consulenza, qualcosa che riguardi il proprio brand personale o un prodotto/servizio di un brand terzo. Questo qualcosa deve essere poi assolutamente in linea con tutto quello che è stato realizzato nei punti precedenti. In questo modo il pubblico troverà coerenza, si fiderà e sarà propenso ad acquistare.
Ora, fare quanto scritto, evidentemente non è né facile né semplice. Ma neanche troppo complesso. Innanzitutto, sfatiamo un mito: uno dei bias più ricorrenti quando di parla di influencer è pensare che, per esserlo, sia necessario disporre di milioni di follower. Occorre piuttosto puntare a creare una community anche di qualche migliaia o decina di migliaia di persone disposte ad ascoltarti per davvero. Con una fan base di questo genere – diciamo di nicchia – avere una relazione diretta con i follower è certamente meno difficile. Le persone che seguono questa tipologia di influencer hanno un rapporto potremmo definire one-to-one e si sentono valorizzate. E questo valore ha, per l’influencer stesso, un grande significato. È la sua vera forza. È, in sostanza, quello che lo rende un influencer.
Rispetto alle celebrity, gli influencer di nicchia hanno una diversa possibilità di entrare in contatto con le persone e di creare una relazione naturale con esse. Qualcosa che, oggi, esprime un grande vantaggio. Qualcosa che oggi, più che mai, le aziende ricercano per vestire, sotto forma di consiglio, un contenuto promozionale. Essere di nicchia, insomma, non è mai stato così apprezzato.
PS Voglio rassicurarvi: no, gli influencer di nicchia non uccideranno le celebrity. Dietro la scelta dell’uno, dell’altro o magari di una integrazione dei due, ci saranno sempre e solo obiettivi e strategie specifici.
Ivan Zorico