Obbligo o Libertà?

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1978

Diego Durante (15)

 

 

 

je-suis-charlie-Un claim pubblicitario di qualche tempo fa esordiva: “La libertà non ha prezzo”. Sarà poi vero? Magari solo in parte. Perché la libertà un prezzo ce l’ha; un prezzo che è costato più di una vita. I recenti fatti di cronaca accaduti a Parigi, con l’attentato alla sede del periodico satirico Charlie Hebdo lo confermano. La libertà di espressione della rivista dallo spirito caustico e irriverente, è costata la vita a dodici vignettisti per aver pubblicato un fumetto satirico su Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato islamico. Alla morte dei disegnatori è seguito il cordiglio del mondo intero. Matita in mano e cartelli, manifesti su cui campeggiava la scritta: ”Je suix Charlie” a simboleggiare la vicinanza del popolo. E poi la successiva marcia di Parigi alla quale hanno partecipato capi di stato e di governo per manifestare la loro solidarietà e la loro unità nei confronti del terrorismo. Si pensa ad un ritorno all’11 settembre o alla fobia di una terza Guerra Mondiale, oppure anche alla lotta all’immigrazione. Tutto questo non fa altro che accrescere in Francia il consenso popolare nei confronti del Fronte Nazionale di Marine Le Pen per conquistare ceti popolari, elettorato di sinistra e quei francesi maggiormente esposti al disagio di vivere nelle periferie urbane parigine consegnate ad episodi quotidiani di cronaca nera.

Il partito, nato nel 1972 e diretto per circa quarant’anni da Jean- Marie Le Pen, ha avuto sin dalla sua fondazione connotati nazionalisti: intolleranza nei confronti dell’immigrazione, concezione forte dello stato, difesa dei valori tradizionali e dell’identità francese. Oggi, Marine Le Pen, diventata leader del partito dal 2011, a seguito degli ultimi avvenimenti, ha mutato (o almeno cerca di farlo) alcuni dei suoi aspetti. Ma il suo atteggiamento rimane ancora di difficile decifrazione. Cercando di mettere da parte l’ereditario armamentario ideologico di stampo nazista, antisemita, sicuramente non ha sviluppato empatia nei confronti degli ebrei continuando a prendere qualche scivolone ma offrendo – al contempo – alle paure dei francesi qualche antidoto ben radicato: lotta all’immigrazione, difesa dei valori nazionali, uscita dall’euro, critica all’Europa finanziaria che affama i poveri e arricchisce i banchieri. Ogni tanto il FN si “avvicina” all’ebraismo, e in particolare ad Israele perché lo vede come un naturale alleato nella guerra contro l’Islam, e ciò spiega perché i dirigenti del FN continuano a pronunciarsi contro gli ebrei delle comunità francesi ma ad elogiare alcuni aspetti di Israele. Il FN rimane però ostile alla società aperta e pluralistica, ed anche se identifica nell’immigrato il nemico principale, continua a vedere l’ebreo e l’ebraismo come “corpo estraneo”.Horst Seehofer

Spostandoci in Baviera, il locale partito cristiano sociale (CSU) alleato alla CDU di Angela Merkel ha proposto – durante il congresso di dicembre – che gli immigrati siano obbligati a parlare tedesco. Anche in casa. “Le persone che vogliono restare qui in modo permanente dovrebbero essere obbligate a parlare tedesco in pubblico e in famiglia”, si leggeva sul paper diffuso dal partito di Horst Seehofer, governatore della Baviera e leader della Csu. Il livello di immigrazione in Germania è in crescita soprattutto per i nuovi arrivi dall’Est Europa: Polonia Romania, Bulgaria. Nell’ultimo anno la crescita dei musulmani in territorio tedesco è stata pari al 5%. Ma come sarebbe attuabile un controllo sulle capacità linguistiche del singolo? La Germania non si può certo permettere di piazzare telecamere in ogni appartamento. E se ciò fosse economicamente avverabile, come sarebbe possibile attuarlo tecnicamente? Al termine del congresso, le richieste della CSU sono state ridimensionate ammettendo che l’iniziativa fosse ancora “acerba”. Ma si insiste che bisognerà lavorare su una sua riformulazione. Dopo le proteste, sembra sia stato messo in discussione qualcosa di diverso, e cioè che la lingua sia più o meno importante per l’integrazione (e quindi l’obbligo previsto dalla CSU si ridurrebbe a un invito, a uno stimolo a parlare in tedesco anche in famiglia), mentre invece si trattava di accettare o meno che Stato bavarese imponesse ai suoi immigrati quale lingua parlare in casa. Il problema è, però, che dimenticare la propria lingua materna, negare il proprio bilinguismo, è di solito molto controproducente e forse non agevola l’integrazione.

rivista Charlie HebdoDa una parte l’Occidente, dunque. Dall’altra l’Islam, profondamente radicato su una concezione teocratica della convivenza civile, dove tutti i principi (laici e religiosi) ruotano attorno alla religione. Si potrebbe continuare nel lungo braccio di ferro tra Stati e Nazioni e perpetrare lotte e attentati per imporre la propria idea e vedere alla fine dei conti chi sarà il più forte. Contrapporre violenza a violenza però non solo esaspererebbe l’intolleranza e l’odio; ma anche la paura. Sembra piuttosto essere importante costruire – con la scuola, con la politica e con l’agorà -un sistema di principi e valori condivisi da trasmettere alle nuove generazioni. Le dichiarazioni di impegno e di tolleranza lasciano il tempo che trovano se non si consolidano veramente in principi di democrazia e valori. Il giornalista Piero Ostellino scrive sul Corriere della Sera del 9 gennaio: “ La soluzione del conflitto sta – come bene aveva visto papa Giovanni Paolo II – nello studio, nella comprensione e nell’eliminazione delle conseguenze sociali delle religioni. L’Occidente lo ha già fatto, con la separazione tra etica religiosa ed etica civile, la fine delle guerre generate da fedi diverse, la nascita dello Stato Moderno e una certa successiva secolarizzazione delle religioni”.

Chi ha ragione? Dove sta la libertà? Mai come oggi le parole di Giorgio Gaber sono azzeccate: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.

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