Cosa ci si aspetta da un editoriale?
Da un editoriale ci si aspetta un indirizzo, una linea, un punto di vista specifico. Sono articoli che partono da una posizione, la sviluppano in maniera più o meno lineare a seconda dello stile dell’autore, e giungono infine ad una conclusione che esprime una tesi.
E cosa ci si aspetta da un editoriale intitolato “Obiettivo lavoro”?
Lo stesso. Da un editoriale dedicato al lavoro ci si aspetta di trovare un tema, che venga messo sotto una lente di ingrandimento ed in chiusura che tutto si ricongiunga sotto forma di un significato da lasciare al lettore.
Quindi, tu che stai leggendo questo editoriale (e ti ringrazio molto per questo!) presumibilmente, se non certamente, ti aspetti quanto detto sinora: una prospettiva chiara e netta sul lavoro. E lo fai a ragion veduta. Infatti, ho già scritto di lavoro in queste pagine digitali: l’ho fatto nel 2020 con Just Working, parlando dell’essenzialità del lavoro; nel 2021 con Holiday working, la nuova tendenza che vede il lavoro andare oltre le etichette del remote, dello smart o del south working, per incontrare un nuovo modo di pensare il lavoro stesso (e la vita), di cui abbiamo anche recentemente parlato in una delle nostre live di “Incontri ravvicinati” con Davide Fiz ed il suo progetto “Smart walking”; o, ancora, nel 2022 con Le Grandi Dimissioni, facendo il punto su un fenomeno che, a distanza di anni, non smette di avanzare.
Questa volta, però, dovrò “deluderti”. In questo editoriale, non ho una tesi chiara e precisa da condividere con te. La verità è che se mi chiedi di argomentare qualcosa sul mondo del lavoro come se fosse una domanda a piacere, per onestà, ti devo rispondere che non lo so.
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Tanti sono i significati che una parola come “lavoro” porta con sé. E tante sono le dinamiche e le aspettative che possiamo trovare dietro al lavoro. E oggi, forse come mai prima di adesso, ognuno dà al lavoro un’accezione diversa ed unica.
Non lo so, non perché non abbia una mia visione (gli altri editoriali parlano per me), ma perché, pensandoci, tanti sono i significati che una parola come “lavoro” porta con sé. Non lo so perché tante sono le dinamiche e le aspettative che possiamo trovare dietro al lavoro. E non lo so perché, oggi, forse come mai prima di adesso, ognuno dà al lavoro un’accezione diversa ed esclusiva.
Per cui per un numero come “Obiettivo Lavoro” non mi andava di dare una definizione sola. Se l’avessi fatto ne avrei limitato il potenziale. Avrei necessariamente dovuto tener fuori qualcosa. E questo non mi andava. Per dirla meglio, non mi sembrava giusto.
Il lavoro non è qualcosa di definito perché non esiste il lavoro in sé. Esiste il lavoro in relazione alla persona che lo svolge, aspetto che dovremmo sempre tener presente. E se il lavoro esiste solo in questo senso, non possiamo imbrigliarlo in categorie prestabilite perché ogni persona è diversa, con un suo vissuto, con le sue esperienze, con la sua storia.
Questa impostazione sta venendo fuori chiaramente in questo periodo: se prima la sola componente economica era la leva per la quale un’azienda era scelta da un candidato, oggi le persone cercano (anche) dell’altro. Ogni persona esprime istanze diverse. C’è chi vuole maggiore flessibilità, c’è chi ricerca uno scopo, c’è chi vuole far combaciare i propri valori con quelli aziendali, e così via.
Insomma, il lavoro è tante cose, ma non tutto. E anche questo è un messaggio non così scontato. La pandemia ci ha tolto tanto, tantissimo, ma ci ha dato anche delle nuove consapevolezze. Una di queste che la vita è una ed una sola. E che il lavoro ne fa parte e non la sostituisce.
Certo, mi dirai che ci sono persone per cui il lavoro è tutto. E ti do ragione. Ampiamente pure. E questo conferma la mia scelta di non dare un indirizzo preciso a questo editoriale. Avrei tenuto fuori qualcuno o qualcosa. E, come detto, non sarebbe stato giusto.
Ivan Zorico
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