OpenAI vs Scarlett Johansson: una storia di voci rubate, deep fake e presagi cinematografici

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Nell'immagine il volto di un hacker incappucciato reso irriconoscibile con un effetto glitch - Smart Marketing
Image by standret on Freepik.

In questi giorni, fra le tante notizie diventate virali, c’è anche quella della controversia (anche legale) fra l’attrice Scarlett Johansson e OpenAI, la famosa società sviluppatrice di ChatGPT.

Fra i primi a parlarne in Italia e su LinkedIn è stato il giornalista esperto di innovazione tecnologica de La Repubblica Pier Luigi Pisa.

Tutto inizia con OpenAI che ha utilizzato senza permesso la voce della Johansson per l’ultima versione di ChatGPT4o, con la quale è possibile, appunto, dialogare invece di digitare le richieste su di una tastiera.

OpenAI ha dichiarato che la voce in realtà è quella di un’altra ragazza, ma fatto sta che questa faccenda di presunto plagio riporta a galla secondo me non tanto e non solo l’inevitabile accostamento con il film “Her” di Spike Jonze, dove appunto la Johansson prestava la voce all’avveniristica AI protagonista, ma anche il pressante problema dei deepfake, o meglio della nostra capacità di riconoscerli e distinguere una persona reale da un avatar digitale.

Perché non è solo che i deepfake sono sempre più credibili, ma anche che noi umani tendiamo, come ha spiegato molto bene il prof. Simone Natale nel suo libro Macchine Ingannevoli, ad umanizzare o quanto meno a proiettare umanità anche sugli oggetti con cui interagiamo.

Più che Her, a me questo evento ha fatto venire in mente il film, poco conosciuto, “S1m0ne” del 2002 di Andrew Niccol, con Al Pacino e Rachel Roberts, con quest’ultima che interpreta un’attrice e cantante generata completamente al computer.

Nel film Al Pacino impersona un regista esasperato che, stanco dei continui capricci delle dive con cui lavora, decide grazie ad un amico genio dell’AI di creare un’attrice virtuale, ma dopo il travolgente successo la “creatura”, come un novello Frankenstein, in un certo modo sfugge di mano al suo creatore che, da una posizione di totale controllo, passa a quella di burattino alla mercè di questa attrice virtuale, peggio di come lo era stato con le attrici in carne ed ossa.

Qual è la morale allora? Dove voglio andare a parare?

Le Ai che “sembra” che dal lancio di ChatGPT stiano invadendo le nostre vite, diventando sempre più performanti grazie ai progressi (fra le altre) del deep learning, delle reti generative avversarie (GAN) e della computer vision, funzionano almeno per altri due motivi: il primo perché tendiamo ad attribuire intelligenza umana anche agli artefatti, e il secondo perché, come ad uno spettacolo di magia, ignorando il funzionamento di queste tecnologie, siamo più propensi alla meraviglia.

Quindi dobbiamo fare due cose: prima essere consapevoli della nostra propensione a proiettare intelligenza sugli oggetti, quindi studiare ed utilizzare queste nuove tecnologie, perché la conoscenza è l’unica strada per comprendere il mondo che ci circonda.

Perché, come diceva Arthur C. Clarke: “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”

 

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