Da che se ne abbia memoria, la musica è stata espressione dei più alti pensieri d’amore, sono innumerevoli, infatti, i componimenti dedicati all’amata, all’amato o all’amore stesso come espressione dell’animo umano.
Il discorso cambia quando, invece, i testi musicati debbano toccare argomenti meno aulici e più carnali, vuoi per un certo pudore, vuoi per un certo rapporto conflittuale tra gli animi sensibili dei compositori, più legati al concetto dell’amore che all’atto stesso.
È lampante ad esempio, l’imbarazzo di Francesco Guccini di fronte al seno dell’amata in Canzone quasi d’amore (“…mi commuove il tuo seno …e di questa parola io quasi mi vergogno…”), e che dire del tremendo rapporto con il sesso del Timido ubriaco di Max Gazzè?
Malessere espresso anche da Giovanni Lindo Ferretti nella canzone dei CCCP – Fedeli alla Linea, Mi ami?, in cui l’eccitazione sessuale mal si sposa con l’affinità elettiva, provocando un’erezione definita “triste per un coito molesto”.
Eppure, in tutta la musica antica, dal medioevo in poi, e persino nei componimenti sacri, sono presenti riferimenti sessuali più o meno espliciti, velati da doppi sensi che diventano ancor più palesi nella musica di matrice popolare.
Nonostante questo, canzoni che comunemente consideriamo innocenti e caste, nel corso dei decenni scorsi, hanno subìto l’epurazione della censura, come accadde per Questo piccolo grande amore, canzone d’amore per eccellenza di Claudio Baglioni, che dovette cambiare “..la paura e la voglia di essere nudi..” in “..voglia di essere soli..” e “..mani sempre più ansiose di cose proibite..”, che diventarono “..scarpe bagnate..”.
Senza contare poi, i “coiti anali” di Roberto Vecchioni, sostituiti con la parola “prostituzione”, nella malinconica canzone Luci a San Siro (nella versione originale “..parli di sesso, di coiti anali…di questo han voglia, se non l’ha capito già..”).
Stessa sorte toccò anche alla canzone Niente da capire di Francesco De Gregori, che sotto la scure della censura, dovette rinunciare a “..Giovanna è stata la migliore, faceva dei giochetti da impazzire..” a favore di “…è un ricordo che vale dieci lire..”
Questi sono solo alcuni esempi di come la censura abbia negli anni imbavagliato la musica italiana, privando il diritto di esprimersi liberamente, diritto rivendicato a gran voce, da Eugenio Bennato, nella canzone Signor censore del 1975.
Riportando la discussione ai giorni nostri, non si può affrontare il legame tra musica leggera e pornografia, senza citare i Prophilax, un gruppo rock demenziale che emerse negli anni ’90 e che a suo modo, sdoganò tra i giovani, in modo goliardico, il rapporto con una sessualità spinta, raccontata senza peccato e senza peli sulla lingua.
Non solo ironia e goliardia, ma anche temi forti e aspri sul buonismo falso di cui la musica leggera è impregnata, critica che emerge in modo preponderante nella canzone Mandami in radio col beep, estratta dall’album del 2008, Coito ergo sum, che denuncia tra gli altri, la mercificazione del corpo femminile, la falsa moralità, criticando aspramente il ruolo della Chiesa.
Tematiche affrontate anche in molte canzoni degli Skiantos, come ad esempio, il brano contenuto nell’album del 1999, Doppia Dose, Il sesso è peccato farlo male, in cui si criticano istituzioni come Chiesa, scuola e famiglia, che non aiutano i giovani ad esprimere la propria libertà sessuale anche con l’utilizzo di anticoncezionali.
Diversi invece, i temi affrontati da quelle canzoni che, non rivendicano sacrosanti diritti di libertà sessuale, ma mirano ad evidenziare, magari ironizzandolo, un vizio più o meno inconfessabile.
È il caso di Pornobisogno del 2012, canzone del gruppo Management del dolore post-operatorio, in cui si utilizza il porno per raccontare in modo sarcastico, i vizi della politica italiana.
Inconfessabile, invece, è il vizietto del professore “in preda alla mania della ragazza di periferia”, in Pornoromanzo, canzone del 2014 di Dario Brunori, ma ad onor del vero, delle depravazioni di rispettabili insegnanti, ne aveva parlato anche Fabrizio De André nella canzone La città vecchia.
Ma può anche capitare che una canzone racconti con ironia la dipendenza dal porno, diventando un vero e proprio fenomeno virale.
Esplosa sul web, la canzone Pop porno del duo salentino il Genio, diventa in poche settimane un autentico tormentone, grazie alla musica orecchiabile ed al testo originale ed accattivante.
Basata sul gioco di parole e velatamente ispirata alla canzone Je t’aime moi non plus di Serge Gainsburg, Pop porno ha il primato di portare alla ribalta un tema scottante, rendendolo veramente alla portata di tutti, anche se probabilmente, i due autori all’inizio non ne valutarono la potenza dell’impatto mediatico, che successivamente li travolse.
Popolare ma tutt’altro che stupida, Pop porno, incarna i vizi della nostra società, dice quello che non si può dire, gioca ammiccante imbrogliando le parole, riflette la perversione ridicolizzandola, oscillando tra malizia e velato pudore.
La musica, in fondo, come tutte le espressioni artistiche, nel corso dei secoli, è sempre stata specchio dei tempi, censurata o lasciata libera di esprimersi, ha segnato le epoche.
C’è stato il tempo in cui la castità era l’unica virtù, il tempo in cui la rivendicazione della libertà sessuale andava a braccetto con le lotte politiche, il tempo attuale, che vede donne e uomini come oggetti da vendere e comprare, a volte, da ostentare.
Oggi, sadomasochismo e pornografia fanno il pari col consumismo più sfrenato, fruito quasi sempre sul web, dove ormai, per distinguersi dalla massa, si va alla ricerca delle più bizzarre ed estreme perversioni sessuali.
Forse in un mondo simile, dove reale e virtuale si mischiano fino a farne perdere la cognizione, fu profetico il grande Lucio Dalla che con la canzone Disperato erotico stomp, recitò che “l’impresa eccezionale è essere normale”, magari dando sfogo a sacrosanti e liberatori atti di onanismo.
Pudore, amori e perversioni sessuali, hanno accompagnato ed accompagneranno sempre la vita di ogni essere umano, tra i sostenitori della vita morigerata e coloro i quali difenderanno la libertà di espressione sotto le lenzuola, come in una canzonetta, incarnando, per dirla con le parole di Franco Battiato, “l’eterna lotta tra sesso e castità”.