Ivan Zorico (353)
Luglio. Il mese che da sempre inaugura le vacanze estive. Il mese che da sempre dona i natali al solleone. Il mese che da sempre regala leggerezza. Luglio è il mese dell’estate più vera: le giornate sono più lunghe, il tempo tiene di più e siamo consapevoli che davanti a noi avremo ancora tanti giorni d’estate, appunto. Agosto, invece, soprattutto dopo la fatidica notte di ferragosto, porta con sé quel dolce senso di malinconia dettato dalla consapevolezza che, la stagione più desiderata dell’anno, sta per salutarci. Arrivano le prime piogge, le spiagge iniziano a spopolarsi e iniziamo a programmare le attività da intraprendere con l’arrivo dell’imminente settembre.
Ma non preoccupiamoci, mancano ancora tanti giorni a quella data. Una ventina (giorno più, giorno meno), dal momento in cui scrivo. E 20 giorni, d’estate, fanno tutta la differenza del mondo. E infatti le bacheche dei social network sono ben affollate d’immagini di persone felici al mare, intente a fare sport all’aria aperta o ad oziare su un prato. E ancora: serate in discoteca, grigliate all’aperto, bagni di mezzanotte; insomma c’è tutto il repertorio fotografico e video che puntualmente vediamo confezionato dai cronisti di “Studio Aperto” quando ogni anno, agli inizi di giugno, devono immancabilmente parlare delle aperture dei lidi della riviera romagnola et similia.
Ma aspettate un attimo.
Silenzio. Mi serve un attimo di silenzio.
Scorrendo la bacheca di Facebook (vero e solo grande incubatore di notizie – per certi versi anche più di “papà Google” –), prima ancora di aprire un qualsiasi giornale online, tra un selfie di un amico delle superiori in spiaggia (che tra l’altro visti gli anni passati, stento anche a riconoscere) e l’invito a partecipare ad una serata imperdibile (perché poi sono tutte imperdibili?! …mah!), mi sto imbattendo troppo spesso in notizie di stragi, attentati, golpe (veri o presunti) e allarmi bomba. Tra l’altro anche ben alternati: un po’ a casa nostra (Occidente) ed un po’ in Oriente. Così che, a commentare queste notizie sui social e nei talk televisivi ritroviamo, di volta in volta, parole di “massimi conoscitori” della questione medio-orientale, degli “attenti osservatori” delle periferie delle nostre città, nonché dei “moderni esploratori” delle rotte degli immigrati. In molti casi, tra l’altro, questi interlocutori hanno la stessa faccia ed in molti casi non si sono spinti mai al di là dell’apertura di Google Earth. Per non parlare poi dei soliti volti noti della politica qualunquista che, ad ogni grande disgrazia, la buttano sul populismo e propinano soluzioni che già ritenere “dissertazioni da bar” sarebbe un elogio. Ma questa è un’altra storia.
Ma aspettate un attimo.
Silenzio. Mi serve un attimo di silenzio.
Sarà che proprio il modo con cui veniamo a conoscenza di queste notizie (mischiate tra link divertenti ed informazioni più lievi) e la loro assurda ripetitiva frequenza (che ce le fa vivere come abitudine e quindi come qualcosa di cui ci sciocchiamo sempre un po’ meno), avverto l’estrema necessità di fermarmi a riflettere. Dall’attentato al giornale satirico Charlie Hebdo (il 7 Gennaio del 2015) all’ultimo agguato alla chiesa di Saint-Etienne-de-Rouvay del 26 luglio 2016, si fa realmente difficoltà a ricordare quanti momenti di terrore abbiamo vissuto. Ho usato volutamente la parola “momenti” perché è insita, in lei, l’idea stessa di ripetitività. Già perché, se ben ricordate, inizialmente (anche mediaticamente) si parlava di “grave fatto” o di paragoni con “l’11 settembre” (data dell’attacco alle Torri Gemelli): esempi, questi, che indicano appunto la singolarità del caso. Qui, oggi, invece, la questione è ben diversa: si parla di mappe del terrore, di spirito di emulazione e strategie pianificate (al plurale non per caso) di attacco al cuore dell’Occidente.
Insomma, a mio parere (ma non solo), ci stiamo apprestando a vivere, o meglio stiamo già vivendo, una stagione nella quale nulla è certo: una semplice serata con gli amici potrebbe rivelarsi l’ultima. No, non è catastrofismo. E con queste parole non voglio di certo invitarvi a rinchiudervi in casa. Anzi, dobbiamo vivere. E dobbiamo farlo con ancora più forza. Perché, certamente, turbare le nostre usanze ed attaccare il nostro modo di vivere è l’obiettivo alla base dell’agire sconsiderato di questi estremisti. Ed accanto a tutto ciò, dobbiamo riflettere su un punto non trascurabile: se in questi mesi abbiamo avuto anche solo per un attimo il timore di prendere una metro o di andare ad un concerto per via di un presunto allarme bomba, immaginiamo cosa da tempo stanno vivendo coloro i quali decidono di lasciare la propria casa per avventurarsi verso un “mondo migliore”. I migranti lasciano posti di guerra in cerca di futuro e non sono certo loro a farsi saltare per aria. Gli attentatori che hanno colpito in Europa, sono nati qui da noi ed hanno frequentato le nostre scuole. Il problema, o rischio attentati, quindi, non viene dai migranti. È altrove.
Ma aspettate un attimo.
Silenzio. Mi serve un attimo di silenzio.
Rassegnarsi alla paura, mai. Cedere alla rabbia, neanche. Continuare a vivere, sempre.