Raffaello Castellano (533)
Cosa fa grande un attore o un’attrice?
Bastano solo i ruoli ed i film che ha interpretato?
È il suo stile di vita, la sua condotta morale o amorale, che conduce fuori dal set?
Sono i suoi matrimoni, i suoi divorzi, i suoi tic, le sue manie, le sue perversioni, o tutte queste cose messe insieme?
Sia quello che sia, quando di un attore o di un’attrice ci rimane impresso un singolo carattere distintivo, una sorta di marchio di fabbrica o una specie di slogan pubblicitario, con il quale tendiamo ad identificarlo, a riconoscerlo, a ricordarlo, allora possiamo dire, alla maniera di Hollywood, che “è nata una stella”.
Due di queste stelle si sono spente, per sempre, nel grande firmamento del cinema mondiale: Lauren Bacall e Robin Williams, che forse ricorderemo per sempre rispettivamente come “The Look” (lo sguardo) e “The Smile” (il sorriso).
Il 2014, infatti, verrà ricordato dagli appassionati di cinema come un anno particolarmente triste per tutta una serie di grandi attori/attrici che è venuta a mancare in situazioni più o meno tragiche.
Stavamo ancora asciugandoci le lacrime per la prematura dipartita, avvenuta per droga, del grande Philip Seymour Hoffman del 2 febbraio scorso, che ci ha privato per sempre del suo straordinario talento, che ci colpisce come uno schiaffo in faccia la scomparsa in poco più di 24 ore, fra l’11 e il 12 agosto, di due mostri sacri del cinema mondiale: Lauren Bacall e Robin Williams.
Noi di Smart Marketing, che stavamo completando la redazione di questo 4° numero dedicato al cinema, abbiamo voluto, con questo articolo, ripercorrere per quanto possibile le straordinarie carriere e le vite di questi due grandi attori.
Se la Bacall fu soprannominata, per il suo particolare modo di guardare, “The Look”, sicuramente possiamo dire che Williams era “The Smile”, per tutta una serie di simpatici e surreali personaggi che ha portato sullo schermo cominciando dai suoi esordi televisivi con un serial di grandissimo successo, anche in Italia, come Mork & Mindy (94 episodi per 4 stagioni dal 1978 al 1982), passando per interpretazioni memorabili come il dj radiofonico Adrian Cronauer di Good Morning Vietnam di Barry Levinson (1987); lo straordinario professore John Keating dell’Attimo Fuggente di Peter Weir (1989); il barbone/cavaliere alla ricerca del Santo Graal ne La Leggenda del Re Pescatore di Terry Gilliam (1991); la tata ideale Mrs. Doubtfire di Chris Columbus (1993); per arrivare a ruoli più complessi e sfaccettati come il Walter Finch di Insomnia di Christopher Nolan (2002), lo psicologo sui generis Sean McGuire di Will Hunting – Genio ribelle di Gus Van Sant (1997), per il quale vincerà l’unico Premio Oscar della sua carriera, come attore non protagonista; o il perturbante ruolo di Seymour “Sy” Parrish nel One hour photo di Mark Romanek.
Benché, come giustamente ha osservato Goffredo Fofi, nell’articolo “Irriverenza Addomesticata” (Domenica del Sole 24Ore, 17 agosto 2014), Hollywood ne abbia in una certa misura smorzato il genio ribelle e spuntato la carica sovversiva, “addomesticando” il suo talento in ruoli per famiglia, e stemperando la sua carica ironica in film di matrice disneyana, preferendo ruoli consolatori a quelli disturbanti, va detto, per buona pace di Fofi, che il cinema non deve per forza essere impegnato, sovversivo, irriverente, ma che anche nel recitare ruoli conformati e distensivi gli attori sono degni di rimanere impressi nelle nostre memorie e nei nostri cuori. Il cinema d’altronde non è solo uno strumento per pensare ma pure, in una certa misura, e dai primordi, uno spettacolo da consumare.
Fa specie che, come quasi tutte le grandi maschere divertenti del cinema, Charlot e Totò su tutte, anche le maschere irriverenti ed esilaranti che Robin Williams ha, di volta in volta, indossato in realtà nascondevano un personaggio complesso, triste e depresso, tanto da spingere l’uomo che faceva ridere e sorridere tutti a trovare nel più “solitario” dei sucidi, all’età di 63 anni, l’unica via di fuga dal quel mondo, quello dello show business americano, che sebbene ti dia tanto, in termini di successo, fama e denaro, altrettanto ti chiede sul piano degli affetti, della serenità e della salute psichica.
Ben diversa la carriera e la vita di Lauren Bacall, morta per un ictus alla soglia dei 90 anni, che proveniva dal mondo della moda e che, si dice, fu scoperta dalla moglie di Howard Hawks sulla copertina del “Harper’s Bazaar”; il regista prontamente la scritturò affiancandola, come protagonista, al già famoso Humphrey Bogart (che poi diverrà suo marito) nel film Acque del Sud (1944), tratto dal romanzo “Avere o non avere” di Hemingway e sceneggiato da William Faulkner.
Figlia di padre russo e madre polacco-tedesca di religione ebraica immigrati negli Stati Uniti, da piccola voleva fare la ballerina, ma poi si appassionò al cinema ed alla recitazione. Tantissimi i capolavori girati ed i registi con i quali ha lavorato, come “Il Grande Sonno” di Howard Hawks (1946); “L’isola di corallo” di John Huston (1948); “Come sposare un milionario”, al fianco di Marilyn Monroe e Betty Grable, per la regia di Jean Negulesco (1953): “Assassinio sull’Orient-Express” di Sidney Lumet (1974); “Health” (1980) e “Prêt – à – Porter” (1994) di Robert Altman; “Dogville” di Lars von Trier (2003).
Ad Hollywood era sopranominata “the look”, per la sua particolare maniera di guardare nell’obbiettivo inclinando la testa in avanti e osservando dal basso verso l’alto, espressione che gli conferiva un notevole sex appeal, qualora qualcuno non avesse già notato il suo incedere elegante e la sua maniera regale di dominare la scena, teatrale o cinematografica che fosse.
Oltre che moglie di Humphrey Bogart, morto nel 1957, più grande di 25 anni, ma che rimarrà il suo grande amore, ebbe una relazione breve e tormentata con Frank Sinatra e più tardi nel 1961 con l’attore Jason Robards, col quale avrà un figlio.
Vincerà un solo Oscar, quello alla carriera, nel 2009 e nel 1999 l’American Film Institute l’ha inserita nella lista delle più grandi star femminili di tutti i tempi (20° posto su 100).
Insomma, due grandi ci hanno lasciato, senza preavviso, senza un perché, lasciandoci in eredità solo i loro film, che come capsule del tempo, quando andremo a rivederli, ci ricorderanno non solo questi due grandissimi attori, ma, soprattutto ci parleranno di chi eravamo e che cosa facevamo noi quando abbiamo visto quei film per la prima volta.
Ricordiamoci infine che nei film della Bacall e di Williams forse non troveremo la risposta alle grandi domande, nè dissertazioni sui massimi sistemi ma, come giustamente dice Natalie Portman nel film “V per Vendetta”: “Gli artisti usano le bugie per dire la verità, mentre i politici le usano per coprire la verità”; affidiamoci quindi, nel Paese più politicizzato del mondo, a farci raccontare delle splendide bugie da uno “sguardo” e da un “sorriso”.