Ivan Zorico (353)
Sul tema delle unioni civili, siamo stati spettatori (o attori) di una lunga e controversa comunicazione politica fatta di manifestazioni di piazza (a favore e contro), dichiarazioni a volte imbarazzanti (“E’ stato un bel regalo all’Italia avere impedito che due persone dello stesso sesso, cui lo impedisce la natura, avessero la possibilità di avere un figlio. Abbiamo impedito una rivoluzione contronatura e antropologica” – così il Ministro degli Interni italiano, Angelino Alfano, si è espresso sulle unioni civili a margine del Consiglio Ue Interni a Bruxelles), bagarre a colpi di post sui social network e difficoltà nello spiegare bene all’opinione pubblica cosa prevedesse effettivamente il ddl Cirinnà.
In prima battuta, partiamo dal titolo della legge “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. Una legge questa, che disciplina quindi non solo le unioni tra omosessuali, ma anche quelle tra eterosessuali. Non sono ingenuo e quindi sono consapevole che, visto l’alto grado di (falso) perbenismo presente in Italia, il dibattito si sia evidentemente incentrato sulla regolamentazione dei rapporti tra omosessuali, ma comunque è bene sottolineare anche questo aspetto.
Un altro tema discutibile è stato l’utilizzo di un inglesismo – stepchild adoption – per rappresentare un aspetto che poteva essere raccontato più semplicemente ed evitare equivoci strumentali (si legga “utero in affitto”). Per essere chiari, la stepchild adoption non è altro che la possibilità di adottare il figlio del partner esclusivamente con il consenso del genitore biologico e, ovviamente, solo se l’adozione collima con l’interesse del figlio.
(Va detto che le maggiori difficoltà le hanno incontrate proprio i nostri parlamentari. Gustatevi questo video)
Quindi, come si può immediatamente intuire, non si menziona assolutamente la pratica dell’utero in affitto. Pratica questa, illegale in Italia, ma praticabile all’estero.
Si può immaginare che la scelta dell’uso dell’inglesismo sia stata praticata per replicare l’effetto “wow” incassato qualche tempo fa dal “Job Act”. Se così non fosse, (per non essere tacciato come fazioso o malpensante) credo che ci sarebbe dovuto essere quantomeno un impegno maggiore da parte del Governo nello spiegare l’effettivo significato di quella espressione. Insomma, metterci maggiormente la faccia. Così come è stato, tra l’altro, per il più fortunato Job Act.
Va comunque evidenziato che, al netto degli errori di comunicazione, molti aspetti importanti sulle unioni civili sono stati disciplinati. Solo per citarne alcuni: i diritti successori e le norme reversibilità e i cosiddetti “diritti automatici”.
In definitiva, dato l’impianto della legge (che per rimanere in tema, avrei sposato in pieno), sarebbe stato importante che ci fosse stato, dal lato di chi osteggiava il decreto, una sana (e agognata) onestà intellettuale e, dall’altro, una più incisiva capacità comunicativa; una tipica operazione verità. Certo, questo avrebbe portato il PD (ossia proprio il partito proponente la “Cirinnà”) ad una maggiore presa di posizione; con tutte le implicazioni politiche ed elettorali del caso. Quindi non tanto la legge, quanto la sua comunicazione ad essere messa sul “banco degli imputati”: l’eterno conflitto tra fare e comunicare. O, se preferite, tra voler fare e voler comunicare. A voi la scelta…