Armando De Vincentiis (29)
Una delle domande fondamentali che si pone uno psicologo è se un’opera d’arte ha un valore intrinseco indipendente dal resto del mondo o se assume un significato e, soprattutto, un valore in base al contesto, all’aspettativa di un osservatore o in base ad una dinamica relazionale tra l’artista ed i suoi estimatori. Nell’arte classica c’è un dato oggettivamente incontrovertibile: non è da tutti realizzare determinate opere indipendentemente dal gusto di un osservatore (provate a cimentarvi con un blocco di marmo per riprodurre la Pietà). Nell’arte contemporanea ci sono altri fattori che determinano il valore di un opera che, almeno in apparenza, sembra alla portata di tutti. Per meglio intenderci dove si vuole arrivare, un esperimento al quale ho partecipato, quando ero studente, darà meglio l’idea. Durante una lezione
all’Università di Psicologia La Sapienza di Roma il professore di psicologia generale ci presentò una sorta di scarabocchio al quale avremmo dovuto dare un punteggio sul grado di allegria che questo avrebbe suscitato in noi studenti. Ci fu una votazione, oltre ai commenti sulla bruttezza di questo scarabocchio e sulla sua inconsistenza. Terminato il punteggio il docente ci presentò un critico d’arte che commentò l’Opera: “si tratta dell’Allegria di Kandinskij, realizzata in un periodo di grande fertilità creativa dell’autore.
Infatti nello scarabocchio era possibile intravedere (sempre dopo la spiegazione e forse suggestionati da questa) coriandoli, festoni e bozze di sorrisi. Al termine l’esperimento prevedeva un’ulteriore votazione sempre sul grado di allegria che questa suscitava. Il punteggio si elevò vertiginosamente, così come i giudizi estetici degli studenti, che si trasformarono da “un orrendo scarabocchio” ad “un’opera davvero significativa”. Pensate che delusione quando il professore ci disse che non esisteva nessuna Allegria di Kandinskij e che il critico altro non era che un suo assistente spacciatosi come esperto dopo aver realizzato lo scarabocchio. Questo è un esperimento che ci evidenzia come
l’autorità di un’osservazione così come l’autorevolezza, seppur inventata, di una creazione possa determinare il valore di un’opera d’arte. Un inutile e, ad essere sinceri, orrendo scarabocchio, si trasforma, magicamente, in un’opera degna di contemplazione solo perché qualcuno ci ha detto che è di autorevole provenienza.
Ecco dove si voleva arrivare, al valore di certa arte contemporanea, quelle realizzazioni che sono apprezzate non certo per la loro qualità intrinseca o per l’oggettiva difficoltà nel saperle realizzare, ma che sono contornate da quell’alone di “bellezza” che si alimenta solo ed esclusivamente in virtù dell’autore e all’importanza che ad esso un individuo un gruppo o un’intera comunità attribuisce. Ecco, dal mio punto di vista, una dimensione poco considerata di certa arte contemporanea è la sua valenza relazionale. Quest’ultima rappresenta un elemento fondamentale che fa capolino in ogni processo umano, dove la convinzione radicata che esista un valore intrinseco alle
cose, indipendentemente dall’osservatore, deve lasciar spazio al significato relazionale delle stesse. Se non ci fosse questa dimensione, certa arte contemporanea, probabilmente, non avrebbe la valenza che oggi assume. Come pensate che possa reggere l’Orinatoio di Duchamp alla critica? Filosofi e critici hanno voluto vederci di tutto in esso, ma era solo un orinatoio! Non per nulla Piero Manzoni è andato oltre lo stesso Duchamp ed è riuscito a far ospitare in numerosi musei del mondo la sua Merda d’Artista.
Lungi dall’idea di porre limiti alla creazione artistica e di elevare ad opera qualsiasi cosa, e considerando che la creatività è rappresentata anche dalla capacità di saper collocare un oggetto in altri contesti e dare la suggestione di nuovi significati, non si può prescindere dall’aspetto relazionale e dal fatto che la creazione artistica è un’opera che si costruisce in due: il cervello di chi la realizza ed il cervello di chi la interpreta.