Il cinema italiano, nelle sue innumerevoli “ripartenze”, ha sempre tenuto ben presente la lezione che nasce da lontano, dagli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
Ci trovavamo di fronte ad un’Italia da ricostruire, in tutti i sensi: sociale, culturale, spirituale, economica, politica. Il cinema giocò fin da subito un ruolo di primissimo piano, nell’indirizzare la società verso una direzione e nell’influenzare le masse verso nuove tendenze. Si tentò la carta del neorealismo, del ricordo degli sfaceli della guerra. Ma dopo pochi anni questo tentativo, seppur fulgido, naufragò rapidamente.
Malgrado l’enorme risonanza internazionale di svariati suoi prodotti, e malgrado l’indiscutibile, immensa influenza esercitata in patria su tutto il cinema coevo e successivo, il neorealismo vero e proprio ebbe una fioritura alquanto breve; già nel 1950 il genere non esisteva praticamente più. Si può dire che la rapida fine del neorealismo non fu determinata da un esaurimento delle batterie dei suoi capiscuola, i quali tutti continuarono brillantemente la propria carriera anche dopo aver mutato, chi più chi meno, temi e modi; ma che il pubblico impose le proprie esigenze, e all’industria cinematografica non restò che prenderne atto. E’ che dopo la guerra il pubblico del cinematografo aveva voglia soprattutto di distrarsi, e se respingeva i tentativi di riproporre la commedia abulica e senz’anima degli anni prima della guerra, non per questo voleva sentirsi ricordare lo sfacelo che aveva travolto il paese.
Al cinema italiano si chiese dunque intrattenimento, ma di un tipo che non competesse con quello che ancora per decenni sarebbe stato monopolio di quello d’oltreatlantico: niente commedie sofisticate, e niente film di gangster, niente film d’azione o di avventura. Saggiamente insomma, fino dagli inizi, il cinema italiano più lungimirante si indirizzò al solo campo nel quale gli americani non avrebbero mai potuto batterlo, ossia a quello che aveva a che fare più da vicino con gli italiani stessi, con la loro cronaca locale o regionale prima ancora che nazionale; e in chiave prevalentemente umoristica.
Perchè umoristica? Ci si chiederà a questo punto. La prima risposta è la più ovvia: probabilmente, per reazione a vent’anni di retorica fascista; per pudore. Un’altra risposta potrebbe essere, perchè il terreno dell’umorismo è quello dove l’identità nazionale è più salda, dove il rischio dell’invasione da parte di un prodotto straniero è più ridotto.
Sta di fatto che il genere comico apparve ben presto quello più richiesto dal pubblico italiano all’industria nazionale, nè le cose sarebbero cambiate troppo in seguito, malgrado l’esplosione di svariati “filoni cinematografici”, ciascuno dei quali avrebbe avuto il suo grande momento di fulgore.
E sta di fatto che dal 1945 in poi praticamente tutte le “vedette” italiani di lunga durata- i grossi nomi del “box office”– sarebbero stati attori comici o comunque brillanti. Prima Aldo Fabrizi e Anna Magnani (comica), quindi Macario, Totò, Renato Rascel, Walter Chiari, Vittorio De Sica, Nino Taranto, Peppino De Filippo, Carlo Dapporto, la coppia composta da Riccardo Billi e Mario Riva; e poi Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia; e poi ancora Paolo Villaggio, Renato Pozzetto, Massimo Troisi, Carlo Verdone.
Possiamo continuare riempiendo tutta la pagina. Questo in definitiva cosa vuol dire?
Che il cinema italiano della rinascita, alle prese con i formidabili ostacoli a cui si è accennato- assenze di strutture e di capitali, inondazioni di prodotti esteri molto appetitosi- conquistò una sua identità anche, e forse soprattutto, grazie all’aver giocato fin dall’inizio la carta dell’umorismo. E fu proprio questa intuizione a porre il cinema italiano, per un periodo lungo almeno venti anni, come il punto di riferimento del cinema mondiale; e al primo posto in assoluto come patrimonio storico-artistico a livello europeo.
Le carte della comicità e del realismo, inserite nel contesto della maestrìa italiana nell’ambito della commedia, hanno dato un’identità al nostro cinema, che non l’ha mai persa, nonostante ovvi alti e bassi. Alle grosse masse, quelle che hanno popolato le “seconde” e “terze” visioni nelle sale, poi distrutte dall’avvento del “film” in televisione, è sempre interessato il genere comico e brillante, ed è sempre interessato di più il viso “familiare” del comico di turno, piuttosto che sapere che quel film è “un film di…”. In questo contesto, appare chiaro che la “commedia” rappresenta l’elemento che più contraddistingue nel mondo, il cinema italiano, con le sue molteplici varianti, che hanno fatto scuola. Quando il cinema nazionale, ha provato qualcosa di diverso, come il fantasy, l’horror o il cinema “impegnato” sperimentale, tutto si è ridotto in un flop tremendo.
Anche oggi, i film italiani campioni di incassi, sono quelli dove il “comico” o i “comici” di turno, sono volti familiari, capaci di far ridere e far riflettere sui nostri tanti vizi e sulle nostre poche virtù. Ancora oggi si va al cinema perché c’è un film con Carlo Verdone, perché c’è un film con Checco Zalone, perché c’è un film con Aldo, Giovanni & Giacomo, o perché c’è un film con Ficarra e Picone. Altri esempi possono essere fatti, e tanti altri attori ho dimenticato, ma quel che qui è importante, è capire e constatare come il cinema comico o comunque brillante, abbia tenuto in vita tutta l’industria del cinema nazionale e abbia potuto foraggiare e incoraggiare la realizzazione dei cosiddetti film “impegnati”, che non potevano competere con il film “leggero” in quanto ad incassi in sala.
Due esempi potranno servire per far capire l’importanza del cinema comico nella storia dell’industria cinematografica nazionale. Negli anni ’60 e nei primissimi anni ’70, la coppia composta da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, in soli dodici anni (dal 1960 al 1972), è presente in sala, con ben 120 film, ovvero alla media di 10 all’anno. Da soli, nei dodici anni in esame, i film della coppia incassarono, sommati, più di 35 miliardi di lire, pari al 10% degli incassi di tutto il cinema italiano del periodo, salvando peraltro una storica casa di produzione e distribuzione come la TITANUS, dal fallimento, reduce da alcuni film “impegnati”, che andarono malissimo al botteghino. Un altro esempio ce lo porta il maestro Renato Pozzetto, da me intervistato per uno dei miei libri di cinema, dal titolo “L’Italia del cinema dagli anni 60 agli anni 90- Mito, storie, curiosità”, edito nel 2019, da Dellisanti Editore. Riporto integralmente un passaggio esplicativo di quello che mi disse Pozzetto, riguardo il cinema comico nazionale: “Il cinema era dominato dai produttori, quando facevo qualche film che andava bene, chiedevo di fare qualche cosa di diverso, di più “impegnato”: film che non erano supportati convintamente dalle produzioni, perché non affrontavano i temi nella maniera in cui andava di moda in quegli anni. Ogni tanto mi permettevano di fare qualcosa di diverso, che attirava meno masse, perché seguivano meno la tendenza dei gusti del pubblico. Alla fine ti dovevi adattare, perché nel cinema non ti è permesso di sbagliare più di un paio di volte, altrimenti ti mettono da parte”.
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Siamo in una fase di passaggio. Tutto ha preso un’enorme velocità. Ed il vecchio ed il nuovo mondo hanno difficoltà ad andare d’accordo. Da un lato viviamo realtà fatte di immobilismo sociale e più simili al secolo scorso, dall’altro le spinte delle nuove generazioni faticano ad essere pienamente riconosciute. Con il rischio reale di starci giocando le migliori energie.
In definitiva, più che sull’intuizione dei vari autori di turno, il cinema italiano si è sempre basato sul riscontro popolare. Quindi le varie stagioni di successo, lunghe o corte che siano, non sono state quasi mai frutto di uno studio fatto a tavolino, ponderato, valutato, ma sono state quasi sempre dettate dalle tendenze del pubblico, che è sempre stato e sempre sarà la guida del cinema italiano. E lo stesso pubblico ha sempre ricercato nel cinema la comicità e la spensieratezza, come possibilità di estraniarsi dai problemi della vita reale.
La chiave dell’ennesima ripartenza del cinema italiano, passerà dunque nuovamente dalla comicità e dalla commedia, perché cambiano le epoche, cambiano i giovani, si evolve la tecnologia, ma sostanzialmente il “DNA italico” rimane sempre lo stesso.