Diego Durante (15)
Quando si parla di beni culturali, nell’ immaginario collettivo vengono, istintivamente, richiamati alla mente i beni archeologici, quelli storico-artistici, quelli monumentali, e, più di rado i beni etnoantropologici e librari. Quasi mai, però, si pensa ai beni archivistici sebbene, in Italia, essi si configurino, per quantità, tipologia e ricchezza di dati e notizie, come un patrimonio che non ha pari nel resto del mondo. Ad aggravare la situazione ha contribuito, negli ultimi anni, l’abbattimento della scure dei tagli alle risorse che, anno dopo anno, ha drasticamente ridotto e continua, senza alcun segnale d’inversione di tendenza, a ridurre finanziamenti e personale tecnico di cui il settore ha un estremo bisogno. Sicché appaiono sempre più di frequente, sulla stampa nazionale, articoli che denunciano quello che sembra essere un processo di dequalificazione dell’importanza della memoria storica che si va diffondendo a vari livelli, con la conseguenza che gli archivi storici risultano sempre più esposti a gravi rischi di dispersione e distruzione e sempre meno considerati come strumenti necessari per la costruzione di progetti di crescita e di sviluppo per ogni comunità. (Si veda in proposito: Perchè conviene ancora investire negli archivi, di Maria Pia Donato, Corriere della sera del 9.2.2015) e Biblioteche, archivi, centri studi: va preservata la memoria, di Bruno Gambarotta, La Stampa del 6.2.2015).
Ad esito di tale “trattamento di emarginazione”, nel tempo, gli archivi, in Italia, si sono “conquistati” l’appellativo di “Cenerentola” dei beni culturali sebbene, a livello internazionale, si registrasse una crescente attenzione nei confronti della memoria storica. La Dichiarazione universale sugli archivi – sviluppata sul modello della Declaration québécoise sur les archives da parte della Section des associations professionnelles del Conseil international des archives (CIA), approvata all’unanimità nel corso dell’assemblea generale tenutasi a Oslo il 17 settembre 2010 e adottata dall’UNESCO nel corso della 36° sessione plenaria del 10 novembre 2011 – rappresenta una tappa importante per favorire la comprensione degli archivi da parte del grande pubblico e degli organi decisionali. È l’espressione succinta e potente dell’importanza degli archivi nella società moderna».
La tematica è complessa e non è questa la sede per evidenziare le profonde motivazioni che determinano la grande rilevanza dei beni archivistici e la necessità di garantire alle generazioni future la loro salvaguardia. Tuttavia abbiamo voluto rivolgere qualche domanda a chi in questo settore opera da anni come libero professionista, la dott.ssa Annunziata Bozza (vedi biografia a fine articolo), innanzitutto per sfatare il luogo comune che vede l’archivista come una figura di persona fuori del tempo, immersa tra montagne di scartoffie polverose che conserva gelosamente per soddisfare l’interesse di pochi cultori delle antiche memorie e poi per cercare di comprendere se questa tipologia di bene culturale possa avere qualche relazione con i settori del marketing e della comunicazione che oggi costituiscono le realtà più vive e trainanti per lo sviluppo e la crescita socio-economico-culturale delle comunità in cui viviamo.
Dott.ssa Bozza come mai sta accadendo che agli archivi storici, dove si conservano le memorie delle nostre comunità, sono riservate sempre minori attenzioni anche da parte di chi dovrebbe averne cura?
E’ a tutti ben noto come, in Italia negli ultimi anni, il settore dei beni culturali stia attraversando un periodo di grande difficoltà determinato da una crisi economica che ha indotto i governanti ad effettuare, senza remore né dubbi di alcun genere, drastiche riduzioni di risorse, finanziarie ed umane e tagli orizzontali agli interventi finalizzati al loro recupero e alla loro valorizzazione considerandoli, probabilmente, al pari delle spese superflue se non, addirittura, degli sprechi. Sembra che i nostri governanti abbiano nei confronti della cultura un comportamento “bipolare”. Se, infatti, da più parti si annunci e si proclami, in modo martellante, che i nostri vettori di sviluppo e crescita sono costituiti dai beni culturali, dal paesaggio, dall’enogastronomia e dal made in Italy che si configurano, peraltro, come forti attrattori di turismo e di interesse – soprattutto da parte di quegli Stati in forte espansione economica – dall’altra si continua ad operare nella direzione opposta al recupero e alla valorizzazione di ciò che dovrebbe, in coerenza con le affermazioni innanzi riportate, risanare e apportare nuova linfa alle casse dello Stato. E mentre, in qualche modo, ad alcune tipologie di beni – quelli che evidenziano maggiori elementi di attrattività per la loro monumentalità o perché esteticamente piacenti – si riconosce un valore “più culturale”, e quindi, in qualche modo, si assicura un minimo di risorse per la loro manutenzione e gestione, arrivando ad ipotizzare anche grandi progetti di recupero e valorizzazione, i beni archivistici scivolano sempre più giù nella lista delle priorità. La situazione è davvero preoccupante perché non si registrano segnali di inversione di tendenza.
Perchè è importante, secondo lei, il riordino di un archivio storico?
A questa domanda si possono dare moltissime risposte con livelli di profondità sempre maggiori. Ne voglio fornire, però, una breve ma immediatamente esemplificativa. Un archivio disordinato è come una scatola che contiene migliaia di piccole tessere policrome, di un meraviglioso mosaico smontato pezzo per pezzo, tutte uguali nella forma e mescolate tra loro. Esaminando i diversi pezzi, anche per ore, non si riuscirà mai a cogliere il significato e la bellezza dell’opera che si potrà conoscere e ammirare solo rimontando i pezzi e collocandoli nel loro giusto posto. Gli archivi disordinati sono “muti”…non raccontano nulla e ogni singola carta, che ha un vincolo che la lega a tutte le altre, se letta isolatamente rischia di dare informazioni non solo parziali ma addirittura fasulle.
Cosa ha scoperto di interessante durante un’attività di riordinamento negli archivi in cui ha lavorato?
Non c’è stato archivio in cui non abbia avviato un’attività di riordinamento che non si sia anche rivelato un prezioso scrigno ricco di interessanti scoperte: dalle antiche pergamene ecclesiastiche che documentano la vita millenaria di una diocesi, alle etichette di vino prodotto a metà del ‘900 da una nobile famiglia legata alla casa di Sassonia nei propri grandi possedimenti siti nell’entroterra lucano. Sono tantissimi i rinvenimenti che emergono dagli archivi e incredibili le potenzialità di valorizzazione degli stessi.
Come, i governi e le istituzioni, potrebbero dar vita ad una rinascita e quale può essere una nuova forma di marketing degli archivi?
Una rinascita può avvenire solo se si acquista consapevolezza che recidendo il filo della memoria non c’è crescita e non c’è sviluppo. Se ad una pianta bellissima si tagliano le radici, brutte e nascoste nella terra, dopo poco la pianta muore. Così è per i singoli e per le comunità: il legame con la memoria è essenziale. Chi non ha memoria non ha identità e chi non ha identità non sa da dove viene e dove andare. Lo slogan è conosciuto e ripetuto ormai come una cantilena ma i fatti evidenziano comportamenti non in sintonia con esso. Occorre il coraggio di investire nel settore della conoscenza della memoria innanzitutto per evitare che essa si distrugga, come sta avvenendo nelle comunità meno illuminate, che considerando gli archivi storici come depositi di vecchie carte consentono che il tempo e l’incuria e inidoneità dei locali di conservazione provvedano ad una sorte di auto-eliminazione del problema. E’ dunque vitale che il mondo della comunicazione, come sta avvenendo sempre più spesso in questi ultimi mesi, non solo denunci con sempre maggiore chiarezza e determinazione questa eutanasia della memoria storica ma promuova vere e proprie compagne di sensibilizzazione sulla necessità di conservare ma anche, e soprattutto, di utilizzare la memoria storica per programmare il futuro dei nostri territori e delle nostre comunità. Ciò è ancor più necessario qui al Sud dove si fa fatica a considerare le “vecchie carte” come un patrimonio culturale capace di generare “ricchezza” – dove per ricchezza si intende non solo risorsa economica che cresce ma anche sviluppo sociale e culturale – e, pertanto, si condannano all’oblio pagine di storia da cui forse potrebbero scaturire progetti di rinascita sulla linea della innovazione nella tradizione. Un ruolo altrettanto vitale è quello del marketing applicato alla valorizzazione della memoria. Sul tema si sono svolti convegni e scritti centinaia di libri. Mi limiterò a fornire un piccolo esempio che può illuminare un po’ la mente. Le vecchie carte di un’azienda agricola, se conservate in un armadio e in stato di estremo disordine, sono decisamente ininfluenti ai fini della crescita del fatturato dell’azienda stessa ma, se le vecchie carte diventano l’archivio storico dell’azienda, ordinato e fruibile, con un inventario consultabile in rete e pubblicato sul sito dell’azienda, con una o più mostre documentarie allestite nei locali dove circolano e si accolgono i clienti, con la storia – illustrata dai documenti esposti – delle diverse produzioni che magari registrano al loro attivo secoli di esperienza e di saperi tramandati da padre in figlio voi pensate che questo valore aggiunto non possa determinare un incremento di fatturato? Provare per credere.
Biografia:
Annunziata Bozza, laureata in beni archivistici e librari e diplomata alla Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica presso l’Archivio di Stato di Bari, esercita da più di vent’anni la libera professione nel settore del recupero, riordino e inventariazione delle fonti documentali. Ha lavorato e lavora su incarico di Archivi di Stato, Soprintendenze archivistiche, Enti locali, Enti Ecclesiastici in archivi pubblici e privati ed ha prodotto numerosi inventari, guide e banche dati. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni ed ha partecipato, in qualità di relatrice, a convegni di carattere storico-archivistici. Ha organizzato mostre documentarie, seminari e giornate di studio insegnando, anche, in corsi di formazione e universitari, archivistica e metodologia della ricerca. Esperta di sistemi informativi archivistici collabora, attualmente, con l’Arcidiocesi di Matera-Irsina per il recupero e la valorizzazione dell’archivio diocesano. A lei e alla sua attività, Alessandra Bocchino, ha dedicato un capitolo nel suo libro “Ci riguarda. Un viaggio per parole e immagini nella Basilicata d’oggi.” pubblicato nel 2014 per Donzelli editore.