Si apre con una bellissima immagine di colline verdi sotto un cielo azzurro puntellato da bianchissime nuvole la prima scena di “Searching”; non fatichiamo a riconoscere, almeno chi tra noi ha più di 25 anni, la famosa immagine “Bliss” (letteralmente beatitudine, ma conosciuta come colline), che ha fatto da sfondo ai desktop di mezzo mondo, dal 2001 al 2014, quando il sistema operativo Windows XP (ancora oggi il terzo al mondo per diffusione) è stato ufficialmente terminato.
Il desktop e le immagini che vediamo scorrere insieme ai titoli di testa ci sintonizzano subito sul qui e quando del film, mostrandoci anche, ma lo capiremo solo mentre il film prosegue, che sarà questa la modalità ed il punto di vista di tutte le inquadrature.
È senza dubbio con un po’ di ritardo che vi parlo del film “Searching” del talentuoso e giovanissimo regista statunitense di origini indiane Aneesh Chaganty. Il film è uscito nelle sale italiane ad ottobre del 2018, e, benché all’epoca il trailer mi avesse colpito, non riuscii a vederlo al cinema.
Recuperato su una piattaforma di streaming a pagamento, e visto in quest’ultima settimana di aprile da Zona Rossa (almeno nella mia Puglia), il film è davvero un thriller ben confezionato, ben recitato e soprattutto un interessante esperimento cinematografico che si colloca al confine fra diversi media.
Infatti ciò che rende originale questo thriller vecchio stile, incentrato sulla scomparsa di una adolescente e sugli sforzi che il padre farà per trovarla, è proprio la modalità della narrazione: tutta la storia si svolge interamente sugli schermi di due pc portatili (quello del papà David e poi quello della figlia Margot) e di un paio di smartphone.
La scomparsa della giovane Margot (l’attrice Michelle La) è il pretesto narrativo per sbloccare una delle più grandi paure dei genitori di oggi: quello di non sapere niente di ciò che fanno i loro figli online o addirittura di non conoscerli affatto. Ed infatti è quello che succede al padre David (un intenso John Cho), che piano piano discende le scalinate del suo inferno personale, man mano che esplora il laptop di una figlia che credeva di conoscere.
“Finora nessuno era riuscito a mostrare in maniera adeguata la tecnologia che dagli ultimi dieci anni governa le nostre vite; né al cinema, né in televisione”, ha commentato il giovane regista Aneesh Chaganty, autore insieme all’amico Sev Ohanian anche della sceneggiatura, in un’intervista sul sito The Hot Corn News.
Per riuscire nell’impresa gli attori hanno dovuto recitare davanti allo schermo nero di un pc dotato di videocamere Go-pro che potessero simulare la resa qualitativa delle varie webcam e le ottiche dei vari device impiegati. L’altra protagonista del film, insieme a David, è la detective incaricata del caso di scomparsa, Vick (un’appassionata Debra Messing che tutti ricordiamo per avere impersonato Grace nella longeva sitcom Will&Grace), che, a proposito della difficoltà della recitazione, in un’intervista ha dichiarato:
“È stato un film duro da girare e all’inizio ero molto nervosa, ma sentivo di essere in buone mani. […] Non mi era mai capitato di dover recitare di fronte a uno schermo spento, con una Go-pro e il regista che dirigeva di volta in volta il mio sguardo. Tutto ciò che avevo era la voce di John (Cho, il co-protagonista, ndr) che avrebbe recitato in presa diretta insieme a me, di fronte a un altro schermo spento, e a un’altra Go-Pro, in un’altra stanza”.
Searching insomma è sì un noir classico, con una storia tesa, quasi sincopata, che avrebbe funzionato anche senza l’espediente del racconto “a schermo”, ma è proprio con questa modalità che ci immerge e trascina ancora di più nel racconto. Come spettatori siamo sia nella fastidiosa posizione di vedere tutto quello che scopre David sul computer della figlia, che in quella di involontari ma eccitati voyeur della vita di Margot e David che, come già detto, conosciamo solo attraverso video di YouTube, chat, servizi di messagistica istantanea, videochiamate e vari servizi dei tg sul web.
Eppure io credo, ed in questo concordo con l’analisi di Paola Casella su MyMovies.it, che il film veicoli delle sottotrame parallele: la prima è quella dell’immigrazione, la famiglia protagonista è di origine coreana e vive nell’America di Trump (quando è uscito il film il tycoon era ancora il presidente). Non credo sia stata una scelta casuale, anche perché nel film Margot si smarrisce fisicamente, ma pare aver perduto anche le proprie radici culturali e perciò risulta ancora più vulnerabile alle insidie della nuova terra promessa. Una possibile conferma a questa tesi è il fatto che il regista stesso è un immigrato di seconda generazione ma di origini indiane.
Ma è l’altra sottotrama, a mio modo di vedere, quella davvero importante: più che un innovativo thriller girato attraverso gli schermi neri che affollano le nostre vite, prima ancora che un noir vecchia maniera raccontato in maniera originale, prima ancora che una piccola rivoluzione del linguaggio cinematografico, Searching è un dramma familiare, un vero e proprio carotaggio socioculturale dei nostri tempi.
Tempi nei quali un social network sa più cose dei nostri figli di quanto ne potremmo mai sapere noi, nei quali dietro ad un nickname può celarsi un grande pericolo, un mondo, quello della rete, dove nulla è come appare e dove persino noi fingiamo, il più delle volte, di essere qualcosa di diverso da ciò che siamo in realtà.
Come dei veri black mirror, gli schermi dei device che accompagnano quasi ogni ora delle nostre esistenze riflettono e ci rimandano l’immagine, a volte distorta, di noi stessi, dei nostri cari e delle nostre certezze, costringendoci a guardare – come direbbe Nietzsche – il fondo dell’abisso, consapevoli che anche l’abisso sta guardando dentro di noi.
Cosa altro dire di questo film?
Solo di recuperarlo e guardarlo con attenzione, “Searching”, è una profonda riflessione sui nostri tempi, da cui emerge sia la nostra ignoranza sulle potenzialità, anche criminali, del web, che anche, e questo è molto curioso, la dimestichezza che abbiamo nello smanettare sui computer al fine di violare la privacy altrui e recuperare password e codici di accesso vari, alla faccia di chi dice che l’analfabetismo digitale sia uno di principali problemi odierni di chi naviga la rete.
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