Negli ultimi 30 anni ho sempre bevuto il tè per una leggera ma fastidiosa intolleranza al latte che negli anni si è acuita.
Non ho una marca prediletta, di solito la scelta ricade fra due tre marche, a seconda delle offerte che trovo nei supermercati.
Consumando tè da così tanto tempo, non ho mai capito, almeno fino a quando ho cominciato a studiare marketing, perché la stragrande maggioranza delle varie confezioni contenesse solo “25” filtri.
Adesso so che questa è una strategia commerciale per aumentare le visite dei consumatori nel punto vendita, infatti se faccio confezioni da 30 filtri il singolo consumatore che fa colazione con il tè consumerà l’intera confezione in circa un mese, e di conseguenza andrà al supermercato più o meno una volta ogni 25-30 giorni. Se invece faccio confezioni da 25 filtri, mi assicuro che venga in negozio almeno 2 volte al mese.
Tutto questo ovviamente tenendo conto del consumo di un single e non di una famiglia.
Ma non è di questo che voglio parlarvi, bensì della pratica della shrinkflation, che è diventata molto comune negli ultimi 10 anni, ma che dopo la pandemia di Covid19 ha visto un deciso e spregiudicato incremento. Ora, tutto questo lo sapevo già, ma è proprio grazie alla marca di tè che consumo abitualmente che la shrinkflation è diventata palese in tutta la sua evidenza.f
Le confezioni di tè che vedete in foto sono identiche per dimensioni, packaging, colori, etc., ma differiscono su di un unico ma fondamentale aspetto: una confezione contiene 25 filtri mentre l’altra solo 20.
Si tratta di una riduzione del 20%, che a parità di volume della confezione può trarre in inganno il consumatore, che magari compra la confezione da 20 perchè più economica, per poi scoprire in realtà che il prezzo al kg, o in questo caso a filtro, rende più conveniente la confezione da 25.
Mi occupo di marketing da circa 15 anni (oltre ad aver fatto il venditore porta a porta per altri 7) e non voglio fare morale sulle varie strategie che questa disciplina mette in atto, ma questa della shrinkflation la trovo profondamente scorretta e irritante, perché basa la sua efficacia su due debolezze dei consumatori.
La prima è la fiducia che ciascuno di noi tributa alle marche di prodotti che compriamo abitualmente ed alle quali in un certo modo ci affezioniamo.
La seconda è la disattenzione dovuta alla fretta che pervade le nostre vite: se non cambio di una virgola le dimensioni di una confezione, ma solo il suo contenuto e peso, ma giusto quel po’, perché tu, io, noi mentre facciamo la spesa non ce ne accorgiamo, stai mettendo in campo una pratica commerciale oltremodo scorretta.
Sul tema shrinkflation tempo fa era intervenuta anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, come ci ricorda Altroconsumo: «che aveva avviato un’istruttoria per verificare che le strategie adottate dai produttori non potessero costituire una pratica commerciale scorretta violando il Codice del Consumo. L’Antitrust ha poi deciso di archiviare il provvedimento, considerando “l’ormai diffusa consapevolezza sul fenomeno” e non riconoscendo di fatto una mancanza di trasparenza da parte dei produttori».
Ma, Antitrust a parte, il dubbio resta.
Io non so perché mai un’azienda, marca, brand, decida di optare per una strategia così ambigua che il consumatore medio, ma anche chi mastica marketing come il sottoscritto, avverte come una presa in giro oltre che una palese sottovalutazione delle proprie capacità intellettive.
La domanda è: ma davvero l’azienda XY crede di avermi messo nel sacco?!
Allora mi chiedo: quando un’azienda mette in pratica la shrinkflation si rende conto che sta incrinando molto pesantemente quel rapporto di fiducia con il consumatore per costruire il quale ha impegnato anni e ingenti risorse?
Voi cosa ne pensate?
E, domanda ancora più importante, cosa mi consigliate, devo cambiare marca di tè o devo tornare al latte, magari senza lattosio?
Fatemelo sapere nei commenti.