Siamo tutti utili divulgatori?

di Armando De Vincentiis e Lorita Tinelli

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Nell'immagine un ragazzo con la bocca tappata da nastro adesivo si trova sommerso da migliaia di post-it - Smart Marketing
Image by wayhomestudio on Freepik.

Un tempo i social erano considerati luoghi di puro spasso dove condividere immagini, foto di vacanze o, addirittura, quello che si mangiava per cena o colazione (cosa che ancora accade, ovviamente). Tuttavia oggi vi sono anche scambi più impegnativi,attraverso i quali non solo si condividono pensieri, riflessioni, ma da un po’ di tempo anche informazioni scientifiche; così sui social circolano argomenti più laboriosi, video culturali e articoli divulgativi, oltre a notizie fasulle e  fake news (queste ultime non mancano mai!). Le informazioni scientifiche che circolano sui social sono, ovviamente, le benvenute, ma possono essere anche causa di problemi.

Innanzitutto sembra che tutti, ormai, si cimentino nella divulgazione scientifica, oltre ai professionisti che lo fanno di mestiere come i giornalisti scientifici; infatti sono molto diffusi anche personaggi che acquistano visibilità esclusivamente attraverso i social e che  tentano di dare un loro contributo nel comunicare dati scientifici. Spesso capita, però, che questi ultimi non rispettino l’etica, così assistiamo a delle vere e proprie battaglie tra “fazioni”all’interno delle quali un certo professionista passa il tempo non a divulgare informazioni, ma a demistificare quelle di un collega,confezionando risposte su risposte e rispondendo alle relative contro-risposte, che non tardano ad arrivare. Basti vedere la piattaforma di “Tiktok” dove ormai sembra di assistere  a veri scontri tra  “partiti”.  A volte  il professionista che lascia passare un’informazione,  senza citare fonti, ma solo sulla base della propria esperienza personale, viene subito contraddetto da un altro professionista e, spesso, in modo piuttosto aggressivo, quasi ridicolizzato. Tutto questo fa venir meno la correttezza dell’informazione stessa (che riguardi l’alimentazione, l’esercizio fisico, la psicologica ecc,),  creando dei veri  schieramenti che sostengono l’una o l’altra informazione, solo sulla base della forza e delle capacità oratorie dell’autore, in barba alla correttezza.

L’impressione che si ottiene è quella di una certa volontà di apparire, non di informare, e/o addirittura di creare scalpore o, peggio, come avviene da sempre sul web, di ottenere like e consensi. Fin a quando la ricerca di like  viene fatta attraverso la pubblicazione di immagini che vogliono suscitare l’attenzione dei followers come  foto , balli, canti etc… la cosa può anche essere accettabile, ma quando vi è di mezzo l’informazione scientifica, la cosa non va più bene, poiché le fazioni che si creano assumono le stesse caratteristiche che abbiamo osservato in epoca di pandemia, quando si assisteva a vere lotte pseudoscientifiche tra negazionisti e non, tra vaccinisti e non, all’interno di una ormai nota dinamica che potremmo riassumere in “noi contro di voi”. E questo, proprio come succedeva in pandemia, porta a fare delle scelte anche pericolose. Oggi non si fanno più lotte tra “vaccino sì” e “vaccino no”, ma se ne fanno altre, ancora più sottili che riguardano scelte alimentari, mediche e/o stili di vita e che danno origine a delle community con dinamiche non tanto distinguibili dalle sette.

Lorita Tinelli, nota psicologa fondatrice del Centro Studi Abusi Psicologici ci dice infatti:

«Umberto Eco, nel suo discorso di ringraziamento, nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale a Torino, per aver ricevuto la laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media perché “ha arricchito la cultura italiana e internazionale nei campi della filosofia, dell’analisi della società contemporanea e della letteratura, ha rinnovato profondamente lo studio della comunicazione e della semiotica” ebbe a dire: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.

Era il 2015 e la sua osservazione presagiva già un grave pericolo della comunicazione che corre sempre più velocemente sulle piattaforme social, pericolo che abbiamo potuto verificare nella sua massima portata in particolar modo nel periodo covid.  “La scienza non è democratica” ha più volte ribadito il virologo più contestato sui social, Roberto Burioni, ma è un concetto che non passa nella logica della comunicazione social, caratterizzata dalla sovrabbondanza di informazioni e da una continua interconnessione h24 ,7 giorni su 7, che fa emergere sempre più la presenza di gente affetta dalla ‘sindrome del tuttologo’.

Foto di Jhefferson Santos da Pexels.
Non solo. Oggi i social sono diventati anche il luogo privilegiato di “debunking”.

La connotazione moderna del termine nasce nel 1923 grazie al giornalista William Woodward, che usa più volte la parola “debunk”, così come la intendiamo oggi, ossia “la pratica di mettere in dubbio o smentire, basandosi su metodologie scientifiche, affermazioni false, esagerate, antiscientifiche”.

Al principio il debunking si applicava in ambito scientifico, tentando di comunicare dati scientifici in maniera più semplice e sgombrando il campo dalle teorie pseudo-scientiche. Il matematico e illusionista statunitense Martin Gardner è stato uno dei più importanti debunker di teorie pseudoscientifiche. In Italia un notevole lavoro è stato fatto dal CICAP e dai suoi divulgatori scientifici. Ma lo stesso Gardner ci metteva in guardia da un’attività investigativa che poteva allontanarsi dal percorso rettilineo e stretto della scienza “seria” per scivolare in contaminazioni che non la aiutano affatto: ed è in questo caos che “si generano mostri”.

Il connubio tra le “verità” proposte da soggetti affetti dalla sindrome del tuttologo e senza alcuna preparazione specifica, e le possibilità offerte dalla rete social, è in grado di determinare disinformazione su temi complessi, spacciata per utili “reportage investigativi.

Questo finisce per portare difatti l’originale impegno scientifico verso polarizzazioni vere e proprie di opinioni su soggetti, teorie, politica ed altre argomentazioni, che evidenziano una tendenza di lealtà a un gruppo o ad un leader, piuttosto che ad un’opinione ragionata.

I novelli debunker, che gravitano nella compagine della rete social, diventano influencer che creano la propria community, organizzando vere e proprie ‘sette’ che aderiscono alla verità rivelata dal fondatore, senza mettere nulla in discussione.

Mi è capitato di essere iscritta ad alcune di queste community che trattavano argomenti di mio interesse, ma è subito emerso il clima radicalizzante delle realtà oggetto dei miei studi.

I gruppi sembravano essere organizzati attorno all’ideologia del fondatore di voler smascherare eventuali truffatori, ma dalle dinamiche si comprendeva che non vi era una capacità chiara e univoca di cosa questo concetto significasse.

Nell'immagine una serie di giornali accartocciati con la scritta Fake News - Smart Marketing
Image by freepik.

I membri della community, attivi h24, pertanto scandagliavano la rete alla ricerca di qualsiasi soggetto potesse essere portato sul patibolo della ‘pubblica piazza’, dove veniva sottoposto, a torto o a ragione, ad una radiografia dei suoi titoli di studio, del materiale raccolto da internet (spesso non verificato, fabbricato ad arte o proveniente da fonti dubbie o anonime), ad accuse ed ingiurie di ogni genere e mai interpellato in prima persona, come dovrebbe fare qualsiasi reporter investigativo. L’obiettivo quindi non era più puntare sulla differenza tra vero e verosimile, principio di un debunking, e rendere l’informazione quanto più possibile corretta, ma quello di mettere alla gogna e distruggere la reputazione di chiunque venisse scelto come vittima sacrificale, per captatiobenevolentiae dell’indiscusso capo gruppo. Pur dinnanzi ad evidenze di un lavoro a tinte sadiche, non vi era alcuna voce di dissenso. I pochi che osavano contraddire la dinamica aggressiva e non utile ad una maggiore comprensione dei fatti, veniva ridicolizzato, aggredito a sua volta e bannato, perché le sue osservazioni venivano interpretate come critica personale alla leadership.

Questo debunking contaminato bypassa tutte le regole della corretta informazione e dei suoi principi originari e diventa strumento di chi ha interesse a personalizzare un conflitto, accrescere la propria leadership e ampliare il numero dei propri followers sulla base di una comunicazione caratterizzata dal “flame” (nel gergo delle comunità virtuali esso è un messaggio carico d’odio capace di infiammare gli animi, portando a discussioni accese e ad amplificare discordie) modellando l’argomentazione a suo piacimento, inducendo polarizzazioni ideologiche e campagne d’odio, ponendo così un grande interrogativo sulla preparazione scientifica e sull’etica di chi opera in questo modo e nel mondo delle piattaforme sociali.

Cosa comporta tutto questo?

L’assenza di etica e di preparazione dei cosiddetti “debunker indipendenti”, la costruzione di community come monadi settarie, la velocità degli odierni mezzi di comunicazione, diventano ottima sponda per la divulgazione delle fake news, che creano sempre più confusione nella comprensione della realtà da parte dell’utente medio, che ripone la sua fede sull’influencer più acclamato di turno, piuttosto che imparare a sviluppare le proprie capacità critiche.

Le ultime dichiarazioni di Piero Angela, portatori di speranza e responsabilità, sono un appello verso un’informazione sempre più veicolo di conoscenza: “Ho sempre cercato di fare bene questo lavoro perché l’ho visto come una responsabilità: ho in mano una telecamera, non posso giocarci per avere successo. La razionalità, come la democrazia, è stata una conquista molto difficile ed esiste da poco, ed è molto fragile. Parlare correttamente di scienza è un’operazione difficile ma possibile: sono convinto che il mondo dell’informazione abbia questo grande ruolo nobile”. E speriamo che questo appello sia recepito dalle scuole e dalle nuove generazioni, perché un cambiamento verso una cultura più consapevole è sempre possibile».

 

Nell'immagine Lorita Tinelli Psicologa Clinica e di Comunità, Criminologa, Studiosa di Culti e Manipolazione Mentale - Smart MarketingLorita Tinelli è una Psicologa Clinica e di Comunità, Criminologa, Studiosa di Culti e Manipolazione Mentale.

Ha fondato nel 1999 il CeSAP – Centro Studi Abusi Psicologici – e ne ricopre la carica di Presidente. Il CeSAP, aderente al RUNTS, fa parte di una rete più ampia di studiosi e associazioni che si occupano del settarismo, la FECRIS (European Federation of Centres of Research and Information on Cults and Sects) ed è un membro del suo Direttivo.

Inoltre è affiliata all’APA -American Psychological Association e all’ICSA – International Cultic Studies Association.

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