Smart working: c’era davvero bisogno del Coronavirus per parlarne?

Dal blog di Ivan Zorico

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Smart working: c'era davvero bisogna del Coronavirus per parlarne?

In questi giorni in cui l’attenzione mediatica e non solo è rivolta alla diffusione del Coronavirus, diversi sono i temi correlati che stanno diventando caldi.

Lasciando da parte quelli legati all’impennata dei costi dell’amuchina (più o meno satirici) o quelli legati all’assalto agli scaffali dei supermercati dove gli unici superstiti sembrano essere le penne lisce (che giustamente nessuno vuole mangiare neanche in queste situazioni difficili, LOL), uno dei temi da prendere in considerazione è la ribalta (finalmente) dello smart working.

A differenza degli smartphone e delle tecnologie annesse che nel giro di breve tempo sono riusciti a conquistare la fiducia di tutti (tanto da diventare strumenti insostituibili), lo smart working fatica ancora ad oggi a prendere realmente piede nel sistema produttivo del nostro paese.

La tecnologia da tempo permette a chi fa lavori cosiddetti di “concetto” di poter lavorare in un luogo diverso da quello dell’ufficio, assicurando le stesse capacità produttive.

Quello che un po’ sembra mancare (almeno a mio modo di vedere) è da un lato la fiducia del datore di lavoro nei riguardi del dipendente (es. figuriamoci se lavorerà anche da casa come in ufficio) e dall’altro, forse ancor di più, un cambio di mentalità (sia del datore di lavoro che del dipendente) capace di rompere l’antico e prolungato schema “lavoro=ufficio”.

Qualche numero sullo smart working in Italia.

Sul finire del 2019 erano circa 570 mila le persone che avevano accesso a questa modalità di lavoro basata sulla flessibilità (+20% rispetto al 2018). Altro dato interessante è il grado di soddisfazione di coloro che possono lavorare in posti diversi dall’ufficio tradizionale – il 76% – rispetto a quelli che invece svolgono tradizionalmente la loro professione – il 55% -. Lo smart working è presente nel 58% delle grandi imprese, ma la sua penetrazione non è in crescita. Le PMI e la Pubblica Amministrazione sono più indietro: le PMI che sono disinteressate a questo nuovo modo di lavorare oscillano dal 38% al 51% mentre, per quanto riguarda la PA, sembra che l’approccio sin qui seguito sia stato solo quello di essersi attenuti ad un adempimento normativoFonte dati: Osservatori.net

C’è da dire che negli ultimi anni e paradossalmente negli ultimi giorni (ci voleva un caso emergenziale come quello generato dall’arrivo in Italia del Coronavirus?) lo smart working sta prendendo sempre più piede. E se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, questa è certamente una prospettiva da tenere in considerazione. Anche se siamo ancora ben lontani da una piena, e soprattutto consapevole, adozione.

Ti è piaciuto? Hai qualche considerazione in merito? Fammelo sapere nei commenti. Rispondo sempre.
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