Con l’invasione dell’Ucraina da parte delle Forze Armate Russe dello scorso 24 febbraio, “la guerra – come ha affermato il presidente francese Emmanuel Macron in un discorso alla nazione – in Europa non appartiene più ai libri di storia. E’ qui, sotto i nostri occhi”.
Infatti, di guerre è pieno il mondo, con conflitti sanguinosi e terribili un po’ dappertutto: pensiamo al Medio Oriente, alla Siria, all’Africa, forse il continente più martoriato di tutti da conflitti interni spesso fomentati e foraggiati da interessi internazionali e paesi stranieri.
Ma la guerra nel cuore dell’Europa era qualcosa, come appunto notava il presidente Macron, che fino al 24 febbraio scorso apparteneva al passato e di cui leggevamo solo nei libri di storia; come sempre, nella nostra cultura di paesi occidentali, soprattutto europei, la “prossimità” e gli “interessi economici” sono fattori importanti, fondamentali, per decidere se una guerra è importante o meno.
Cosa ci importa, infatti, se molte guerre sanguinose si svolgono in regioni o nazioni come Etiopia, Yemen, Sahel, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia, Myanmar?
Cosa importa a noi occidentali se ad uccidersi sono guerriglieri mussulmani o africani?
Cosa ci importa se l’Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) ogni anno identifica 10 conflitti o situazioni di crisi in tutto il mondo che potrebbero peggiorare o evolvere nei prossimi mesi?
L’unica cosa che importa è che non avvenga nel nostro giardino, che sia lontano dall’Europa, che sia lontano dai nostri confini e, possibilmente, che riguardi persone dalla pelle scura e, magari, appartenenti ad una altra religione.
Se il conflitto in questione risponde a questi “parametri”, noi occidentali possiamo “tranquillamente” fregarcene, come cinicamente abbiamo fatto e stiamo facendo da almeno 30 anni con le guerre che insanguinano l’Africa.
Però, se la guerra è in Europa, riguarda delle persone bianche, caucasiche, e contrappone l’antipatico presidente di una grande superpotenza in affanno, invasore di uno stato sovrano, e il giovane ed idealista presidente dello stato aggredito con un passato nel mondo dello spettacolo, eccoci là pronti ad issare barricate, inviare aiuti umanitari, armi e corrispondenti e a dedicare interi palinsesti televisivi alla Guerra Russo-Ucraina, anche in Paesi come l’Italia, dove le redazioni delle televisioni e dei media nazionali, prima di questo conflitto, dedicavano agli “esteri” l’ultimo segmento dei loro telegiornali, quello, per intenderci, che viene dopo lo sport e la cultura.
E se in un paese come l’Italia vieni dopo la cultura, vuol dire che come notizia e/o informazione non vali proprio nulla.
Per la seconda volta, dopo lo scoppio della Pandemia, stiamo assistendo al gonfiarsi a dismisura di una bolla di “infodemia”; come già successo neanche 2 anni fa, i media nazionali, i telegiornali, i talk di approfondimento, i quotidiani, e i portali di informazione web si sono buttati con un tuffo di pancia, sgraziato e rovinoso, in questa bolla di notizie e informazioni che sono state analizzate, vampirizzate, rimontate e a volte manipolate, al solo scopo di attirare l’audience e far crescere gli indici di ascolto o le vendite in edicola.
Scopri il nuovo numero: “Social War”
Con le nuove tecnologie le guerre sono diventate globali, prima ancora che mondiali (e per fortuna!). Nella sfera informativa, iperconnessa e pervasiva, siamo tutti protagonisti. Siamo tutti chiamati in causa.
Tutti gli Europei, ma in particolare noi Italiani, ci siamo scoperti da un giorno all’altro “esperti di geopolitica e tattiche militari” così come neanche 2 anni fa eravamo diventati tutti esperti virologi ed immunologi.
La pandemia, purtroppo, non ci ha insegnato nulla e dopo due anni ecco che buona parte dell’informazione e dei giornalisti italiani stanno dando un bruttissimo esempio di mancanza di professionalità e generando, come in tutte le “infodemie”, ancora più confusione ed incertezza negli ascoltatori e lettori che vorrebbero capire cosa sta succedendo fra i Russi e gli Ucraini.
Noi di Smart Marketing, che nella sua natura è un mensile di approfondimento molto verticale sulle tematiche del marketing, dell’economia e della comunicazione, vogliamo cercare di non alimentare questa gigantesca bolla di infomedia, ma vogliamo altresì cercare di comprendere i meccanismi profondi che si celano nei mezzi di comunicazione di massa, social compresi, che stanno raccontando questa drammatica guerra.
Tutto questo lo faremo come giornalisti ed esperti di comunicazione, non come saccenti esperti di geopolitica; piuttosto che dire cose inesatte, preferiamo tacere o riferirci ad esperti veri, come abbiamo già fatto con il prof. Silvio Labbate, docente di Storia Contemporanea all’Università del Salento ed esperto in Storia delle relazioni internazionali, che abbiamo intervistato il 15 marzo scorso, intervista alla quale vi rimandiamo perchè rappresenta una perfetta introduzione al macrotema di questo mensile che abbiamo voluto chiamare “Social War”.
Mai come adesso, in questo preciso momento storico, mi risuonano in mente le importanti e definitive indicazioni che Rolf Dobelli, un esperto di filosofia ed economia aziendale svizzero, ha messo nel suo libro “Smetti di leggere notizie. Come sfuggire all’eccesso di informazioni e liberare la mente”, quando dice: “Proviamo a seguire una dieta dal flusso di notizie che ci sta assordando: eliminiamo le fonti più frenetiche e gridate, stiamo lontani dagli smartphone e dai notiziari. Ricaveremo un tempo più esteso per la riflessione, gli incontri e i progetti. Impareremo a mettere nella giusta prospettiva i problemi e capiremo che intervenire è più importante che abbandonarci passivamente alla ragnatela delle notifiche. Ne guadagneremo in tempo e salute, e forse ci scopriremo più creativi e felici”.
É con l’invito a questa news-detox che voglio lasciarvi, invitandovi a leggere “criticamente” tutta l’informazione che vi circonda, anche quella del nostro mensile, della quale vi chiedo di farci sapere cosa ne pensate e se possiamo migliorarla.
Buona lettura e pace in Terra agli uomini di buona volontà.
Raffaello Castellano
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