In un periodo storico nel quale guerre, terrorsimo, cambiamenti climatici, povertà e profonde diseguaglianze sociali ed economiche spingono le popolazioni mondiali e dei singoli paesi a muoversi dal Sud al Nord del Mondo, scoprire la storia di Alessandro Brunello e della sua “migrazione al contrario” è qualcosa di estremamente sorprendente e profondamente rivelatore.
Ancora di più nel nostro Paese, da sempre contraddistinto da due macroaree: quella del Nord produttivo e pieno di opportunità e quella del Sud depressa e piena di criticità. O almeno questa è la narrazione fuorviante che insiste sui media generalisti e che ha persuaso buona parte dei cittadini, ma non tutti.
Una storia, quella di questa singolare migrazione al contrario, che l’autore ha voluto raccontare e che l’editore Salani ha pubblicato in un libro, “Cambio vita, vado al Sud – Diventare terroni e vivere felici”, che sta riscuotendo notevole successo, tanto da essere giunto, a pochi mesi dall’uscita, alla 3a ristampa.
Ho avuto il piacere di conoscere Alessandro Brunello, a fine Agosto, durante una presentazione a Taranto nella quale abbiamo parlato e gli ho chiesto se potevo organizzare un’intervista per Smart Marketing, che pensavo fosse perfetta per finire in un numero come #ripartItalia, nel quale da anni raccontiamo storie di riprese, ripartenze e cambi di prospettiva che sfidano i luoghi comuni e gli stereotipi.
Domanda: Nel suo libro, Alessandro Brunello, lei comincia il racconto della sua “migrazione al contrario” con un esilarante capitolo su cosa significhi fare, anche come semplice invitato, un matrimonio al Sud. Matrimonio che, soprattutto per ciò che riguarda il rinfresco, per durata, impegno di risorse e quantità di portate e calorie rappresenta quasi una sfida sportiva. É davvero così? Per capire le differenze fra Nord e Sud non c’è niente di meglio come partecipare ad un matrimonio?
Risposta: Se “Cambio vita vado al sud” inizia con un capitolo assolutamente comico che parla dei matrimoni dipende anche dal fatto che volevo dare al lettore la possibilità di addentrarsi in un argomento, come la contro immigrazione, con tante sfaccettature, cominciando però in maniera leggera e divertente, con alcune trasposizioni comiche. Trovo che i matrimoni a sud siano effettivamente una kermesse straordinaria molto utile a comprendere dinamiche e tanti modi di intendere la vita, che personalmente trovo gioiosi e apprezzabili. Certamente non si può ridurre la comprensione del sud a una semplice festa di matrimonio, si scadrebbe nel cliché e nella macchietta. Il sud è ben altro, cultura, Natura, saper vivere, insomma un corredo di qualità relazionali e di economia dello stare assieme che mi ha fatto scegliere di fare della Puglia la mia casa.
D: La sua voglia di staccare o cambiare vita, passando dalla frenetica Milano ad una più calma città del Sud, arriva tutta d’un tratto, senza preavviso, durante l’ennesima intervista che le stavano facendo durante l’inaugurazione di una mostra a Milano. Ma davvero non ci sono stati preavvisi, nessunissimo allarme che è scattato prima di questa strana epifania?
R: Per prima cosa mi piace molto il termine che hai usato, “Epifania”, quindi lo faccio mio per connotare questo cambiamento; in realtà credo di essere una persona che quando fa una scelta passa tantissimo tempo a osservare e pochissimo a decidere. In tutta la mia vita mi sono sempre sentito in fondo al cuore disfunzionale ai modelli che mi circondavano e ai quali ho assolutamente aderito per alcuni decenni, quindi possiamo dire che il seme della terronità si stava già facendo spazio e stava crescendo in me da tempo, la decisione di trasferirmi senza peraltro sapere bene esattamente in quale città è però effettivamente giunta come un’illuminazione: dopo tanta osservazione è arrivata questa Epifania.
D: Quest’intervista che le sto facendo finirà nel numero di Settembre del nostro magazine intitolato appunto “#ripartItalia”. Secondo lei il Sud potrà in futuro, o magari già adesso, rappresentare un’idea “nuova” di sviluppo per il nostro Paese proprio in virtù di quei ritmi più lenti e di quelle relazioni più autentiche di cui parla nel suo libro?Insomma, il Sud può andare oltre quell’idea, in parte già aborrita dalle aziende, di south working e abbracciare quel downshifting che torna spesso nelle pagine del suo libro?
R: Il sud già rappresenta o meglio rappresenta da sempre un’idea nuova a mio parere , un’idea ancora più completa e ancora più matura di felicità e sicuramente in qualche modo anche di civiltà , dal momento che le vite delle persone si dipanano in un tessuto più a misura d’uomo di quello che vediamo ad altre latitudini. Credo che il punto fondamentale risieda nel fatto che il sud stia già (o potrebbe finalmente) cominciare a prendere consapevolezza di questi incredibili elementi che lo differenziano da qualsiasi altra parte del mondo. I turisti vengono nel nostro sud da tutto il mondo non solo per il cibo, per il clima, per la natura, ma vengono soprattutto per le relazioni. Quando un forestiero arriva a Taranto, dopo una settimana è come se fosse già cittadino di Taranto – questa è una cosa unica che non si verifica da nessun’altra parte nel mondo ed è qualcosa che trova la sua radice nella profondità e nelle stratificazioni culturali che il sud Italia come cuore del Mediterraneo ha avuto da secoli, anzi da millenni . Penso che il mondo del futuro ci riserverà delle sorprese e il sud potrà essere assolutamente protagonista senza dover scimmiottare schemi esterni, ma semplicemente interpretando al meglio la propria intima natura.
D: Ma se un domani il Sud dovesse diventare produttivo tanto quanto il Nord, non rischierebbe di perdere tutte quelle peculiarità come ritmi lenti, relazioni più autentiche, quella qualità della vita, insomma, che tanto lo fanno apprezzare oggi?
R: Ovviamente sì, e infatti non lo auspico e noto che le persone più interessanti che ho conosciuto al sud a loro volta non lo auspicano. La ricchezza del sud poi deve essere un’altra , intangibile ed emozionale e per questo inestimabile; a sostegno di questa tesi vi è il fatto che il Pil misura tutto tranne la felicità e i comuni italiani che vengono indicati come detentori del miglior stile di vita in realtà sono quelli dove c’è il più alto tasso di suicidi e dove le relazioni sono – mi dispiace dirlo – molto più povere di quelle che si possono avere a sud.
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Quanto realmente di te c’è nelle tue giornate, nelle relazioni e nelle esperienze che vivi?
A volte è necessario cambiare completamente traiettoria. La tua vita è altrove.
Altre volte è necessario solo riprendere i comandi. Non il cosa, ma è il come a fare la differenza.
Rinascere, ripartire, è questo: essere presenti ed essere consapevoli. Determinare le nostre vite. Ogni giorno.
D: Fra le tante città che lei poteva scegliere per questa sua “migrazione al contrario”, lei ha scelto Taranto. Una scelta quantomeno singolare, visto che questa città viene menzionata dai media nazionali solo per i problemi di inquinamento dovuti all’ex ILVA. Come mai fra città più dinamiche, come Napoli o Bari, ed altre più caratteristiche e turistiche, come Lecce o Matera, lei ha scelto proprio Taranto?
R: Io ho scelto Taranto per diversi motivi, alcuni quasi magici o che perlomeno amo definire così. che dipendono dal fatto che il mio bisnonno paterno Franco, nato nel 1899, era proprio di Taranto e che ho passato con lui tanto tempo quando ero piccolo. Il motivo invece più razionale che mi ha portato a scegliere Taranto è il fatto che non avevo voglia di andare a vivere in un posto da cartolina oppure in una città che guardava i modelli delle metropoli ipertecnologiche del Nord e che voleva così trasformarsi. Ho scelto Taranto perché è una città con le sue radici (pensiamo solo alla fondazione) e con le sue cicatrici, le sue sofferenze e la sua voglia di ricostruirsi e di risorgere, in primis tramite la cultura. Affronto spesso il discorso con gli artisti tarantini e conveniamo su molte cose. In più posso dirti che ho viaggiato per vent’anni su e giù per il mondo e ho riscontrato che la globalizzazione di cui si cominciava a parlare agli inizi del millennio si è davvero compiuta e oggi possiamo ritrovare gli stessi cibi, gli stessi vestiti, lo stesso modo di impiegare il tempo ai quattro angoli del mondo. Una città come Taranto invece, proprio perché ha sofferto, proprio perché ha subito, proprio perché ha resistito, ha nelle sue strade ancora l’odore della verità, della realtà. Quando cammino per la città vecchia quel posto mi restituisce qualcosa di verace, di autentico e di sincero, che pur con le sue spine è una fantastica rosa sempre più rara. Per questo il mio sassolino sulla bilancia del futuro voglio metterlo qui.
D: Nel suo libro lei descrive Taranto con un trasporto ed un’emozione davvero coinvolgenti. La stragrande maggioranza di noi autoctoni, noi tarantini, invece, soprattutto negli ultimi 25 anni, non riesce più a vedere i pregi e le opportunità di questa città, ma solo i suoi difetti. Allora, aveva davvero ragione Marcel Proust quando, alla fine del suo monumentale romanzo “Alla ricerca del tempo perduto”, diceva che: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”?
R: Sposo in pieno questa citazione, del resto credo che valga non solo in relazione all’apprezzamento o meno del luogo in cui si è nati o del luogo in cui si vive, ma forse possiamo estenderla a tutti livelli e a tutti gli ambiti delle nostre vite, infatti non è mai quello che ci capita ad essere davvero importante, è davvero importante quello che noi ci facciamo con quello che ci capita.