Storia di una quarantenne ad un concerto di Achille Lauro

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Achille Lauro è forse uno degli artisti più controversi del panorama musicale italiano contemporaneo, alcuni lo definiscono “genio”, altri ancora lo assimilano ad un fenomeno da baraccone, tanto odiato quanto amato, capace di suscitare sentimenti contrastanti che vanno dall’ammirazione al più totale disprezzo.

“Io tutto, io niente, io stronzo, io ubriacone
Io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista
Io ricco, io senza soldi, io radicale
Io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista
Io frocio, io perché canto so imbarcare
Io falso, io vero, io genio, io cretino….”

Mi verrebbe da scomodare l’Avvelenata del primo Guccini per raccontare il complesso rapporto tra musica e pregiudizio, quello stesso pregiudizio che in questo particolare periodo storico investe tutti i musicisti non convenzionali come Achille Lauro, un rapporto che non dovrebbe esistere, eppure è difficile trovare un artista che non sia mai stato oggetto di discriminazione per la sua arte o che non si sia dovuto cimentare con il preconcetto altrui.

Foto di Maddalena D'Amicis.
Foto di Maddalena D’Amicis.

Così, disarmata di giudizi, preconcetti e retaggi culturali, ma sempre armata di spirito critico, su “una rotonda sul mare”, insieme al vento settembrino, dove non c’è “il nostro disco che suona”, ma un’orchestra al completo a far da supporto alla performance di Lauro, mi appresto ad assistere ad un concerto per me insolito.

Non è facile, per uno della mia generazione, avvicinarsi alla trap italiana o a qualsiasi altro genere che abbandoni la musica melodica convenzionale, vuoi perché col tempo ci si abitua a quello che si è sempre ascoltato, vuoi per un certo sentire comune che non vuole definire questi nuovi generi come “musica”.

Convinta che bisognerebbe ogni tanto lasciarsi guidare e consigliare dai gusti dei più giovani, più propositivi nei confronti del nuovo e meno inclini ad abbracciare vecchi stereotipi, ho voluto provare qualcosa di inusuale per me, allettata anche dall’idea di ascoltare Lauro in una veste insolita anche per lui, e chissà che dopo la “Samba Trap” non dia vita ad una symphonic trap.

Siamo sulla splendida Rotonda del Lungomare di Taranto insieme all’impeccabile Orchestra della Magna Grecia per un evento più unico che raro nel suo genere, non è mai capitato, infatti, performance sanremesi a parte, che Achille Lauro si fosse esibito accompagnato da un’orchestra sinfonica.

L’incontro tra Achille Lauro e l’ICO Magna Grecia era già previsto a maggio in un concerto che si sarebbe dovuto tenere al Teatro Orfeo, annullato a causa del lockdown, ed ora riproposto in MediTa, il Festival della Cultura mediterranea in Taranto, supportato dalla Regione Puglia e fortemente voluto dall’amministrazione comunale per dare un segnale forte della ripresa delle attività culturali ed artistiche della città dei due mari.

Il pubblico intervenuto è variegato, spazia da adulti attenti e composti, che probabilmente seguono l’intera stagione concertistica dell’Orchestra della Magna Grecia, a giovani e giovanissimi che, invece, probabilmente non sono abituati a posti assegnati ed alla compostezza tipica dei teatri, e poi ci sono quelli come me, non più tanto giovani ma neanche troppo vecchi da non lasciarsi balzare dalla sedia per concedersi qualche meritato saltello sul posto, se il ritmo diventa più ballabile.

Anche senza nutrire pregiudizio alcuno nei confronti di Lauro De Marinis, in arte Achille Lauro, è molto difficile non nutrire una qualche aspettativa sulla performance di un personaggio abituato a stupire il pubblico con azzardati outfit, atteggiamento provocatorio e spavaldo unito al piglio da rockstar.

Ci si può aspettare di tutto, cambi d’abito, riferimenti colti o pop, irriverenza nei confronti della formale orchestra o del suo direttore, “spettacoli con fumi e raggi laser” (per dirla alla Battiato), per poi trovarsi davanti un elegante giovane uomo in frac, compito, educato e molto più convenzionale di quello che si possa immaginare.

Nessun colpo di scena, nessun cambio d’abito, raggi laser neanche a parlarne, un minimalismo che stupisce più di ogni effetto speciale visto il personaggio, ed un’intensa, seppur breve, performance musicale.

Così, spogliato da tutto il contorno che poco ha a che fare con la musica, assistiamo al trionfo del talento e forse riusciamo a capire che al di là degli orpelli da divo consumato c’è un artista che dovrebbe curarsi più del contenuto che del contenitore, se davvero vuole che emerga la sua arte e non la prominente macchina organizzativa e comunicativa alle sue spalle che cura la sua immagine, dagli outfit alle coreografie, ai profili social da oltre un milione di follower e che, è inutile negarlo, lo ha reso fenomeno ed idolo allo stesso tempo.

Foto di Maddalena D'Amicis.
Foto di Maddalena D’Amicis.

Eppure, senza accorgercene, Achille ci prende per mano lasciando trapelare un velato timore reverenziale nei confronti dell’orchestra, ci porta nel suo mondo fatto di testi semplici e ricercate citazioni pop, parlando del passato per raccontare il presente, un presente che i giovani e giovanissimi conoscono e sanno leggere molto meglio di noi adulti che fatichiamo a comprenderlo.

Un presente dai complessi linguaggi comunicativi, veloce e mutevole, molto differente da quello di vent’anni fa, ma che, come allora, si scandalizza per qualche tutina aderente, due lustrini di troppo ed un po’ di trucco, un presente che vive di eccessi ed ostentazioni e cerca sempre meno l’ordinario, un mondo in cui “l’abito fa il monaco”, l’apparire e presidiare i social trascura molto spesso l’essere, il presente di cui Achille Lauro, probabilmente, è la massima espressione, figlio del suo tempo, ma con un malinconico sguardo retrò.

Sul palco Achille ci mostra il suo personale e breve racconto, condivide le complesse dinamiche familiari ed i suoi amori spesso sbagliati, ci riporta sulla luna nel “1969” a bordo delle sue “Cadillac” e “Rolls Royce”, ci fa ballare al ritmo di “Bam Bam Twist”, insegnandoci che in fondo “C’est la vie” e che un “Me ne frego” ogni tanto, forse, non guasterebbe.

Intanto continuo a chiedermi se davvero è solo un fenomeno di marketing, genio, impostore o una vera popstar, ma non giungo a conclusioni, preferisco invece pormi un’altra domanda: chi decide cos’è arte? Il pubblico, i critici, le istituzioni?

La performance artistica non dovrebbe rispecchiare determinati canoni, semmai stravolgerli, farci guardare qualcosa con occhi diversi, invitarci all’azione, invitarci alla riflessione, indignarci e, perché no, potrebbe anche disturbarci; allora siamo sicuri si saper scindere cos’è musica e cosa non lo è?

Il fatto che non riusciamo a comprenderla probabilmente ci porta a non riuscire a definirla, ma questo non significa che non abbia un valore artistico, l’arte è di per sé indefinibile.

Foto di Maddalena D'Amicis.
Foto di Maddalena D’Amicis.

Possiamo fingere che non sia musica, possiamo persino fingere che non esista, ma sia la trap che tutti gli altri nuovi linguaggi musicali continueranno ad esistere, continueranno ad avere milioni di follower sui social, pubblico e soprattutto mercato. Non solo, il diffondersi dei social network ha permesso di sovvertire le regole della discografia, avviando un processo di democratizzazione dei gusti ma anche delle proposte.

Un tempo, se volevo far conoscere la mia musica su larga scala, dovevo sperare di essere notato da qualche etichetta discografica che si sarebbe occupata della promozione e della distribuzione, oggi mi bastano un account Youtube, Instagram, Facebook e Tik Tok per diventare una star, così come, se voglio ascoltare qualcosa, non aspetto che qualcuno me la propini, mi basta accedere ad una delle tantissime librerie on line e cercare quello che più incontri i miei gusti.

Quindi il problema non è Achille Lauro o chi per lui, il problema è che c’è un mondo che va veloce, cambia continuamente e noi, ancorati a vecchi schemi, non riusciamo a stare al passo.

Credevo di annoiarmi, invece torno a casa con la sensazione di aver passato una piacevole serata, anche se non so se ripeterò mai l’esperienza; non so se da oggi, nella mia playlist, in mezzo a Guccini, De Gregori, Battiato e De André, farà capolino un qualche brano di Achille Lauro, consapevole che, prima di criticare bisogna ascoltare e non paragonare ciò che per definizione è imparagonabile.

In fondo, poco è cambiato dal 1980, quando Franco Battiato, per spiegarci il rapporto tra l’essenziale ed il superfluo, cantava:

“L’impero della musica è giunto fino a noi

Carico di menzogne

Mandiamoli in pensione i direttori artistici

Gli addetti alla cultura

E non è colpa mia se esistono spettacoli

Con fumi e raggi laser

Se le pedane sono piene

Di scemi che si muovono”.

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