Strepitoso spaccato veritiero e agghiacciante dell’Italia degli anni ’80, che si affaccia ai ’90; ma anche malinconico ritratto, che fa parte dell’esperienza comune di tutti, sulle rimpatriate di ex liceali. Verdone immagina, quello che in fondo sono le rimpatriate: malinconiche, tristi e amare, in cui si riaccendono antiche antipatie, si suscitano commiserazioni, si riacutizzano invidie sopite e anche vecchi amori, si esumano scherzi vetusti, si contano i morti, si constata quanto la vita ci trasforma e non in meglio. Ma poi ognuno torna alla propria vita, come una parentesi fuori tempo massimo, come il ricordo di una magia cercata, forse ritrovata per qualche attimo, ma che non torna più. Ebbene questo è “Compagni di scuola”, il film al quale lo stesso Carlo Verdone è più affezionato; e in definitiva è il suo capolavoro.
L’idea nacque da uno spunto autobiografico dello stesso Carlo Verdone e del suo compagno di scuola, e futuro cognato, Christian De Sica, i quali si trovarono invitati a una rimpatriata dai tristi esiti. La fenomenologia della rimpatriata scolastica, chiaro spunto verdoniano, è immutabile da sempre e consente a chiunque di identificarvisi. “Compagni di scuola”, parla di noi, parla di tutta una generazione, parla di emozioni che sono nei nostri cuori, sopiti magari dagli impegni e dalle frenesie quotidiane; parla di ricordi malinconici, parla di nostalgie, di quello che desideravamo di essere e forse non lo siamo; parla delle nostre ansie, delle nostre paure. Si ride, ma si ride amaro, in pieno stile da commedia all’italiana, cui sono chiare le radici, con le sue virtù (la capacità di osservazione, la cattiveria) e i suoi vizi (il cinismo spicciolo, l’adesione alle volgarità di alcuni personaggi). Maturato come regista, Verdone è in grado di tenere sotto tiro per due ore una ventina di personaggi senza dispersione né cadute di ritmo, né momenti opachi: la mano è sempre leggera, farsa e dramma sono tenuti ugualmente a distanza e le residue tentazioni pecorecce sono poche.
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Ma quando la compagnia degli ex alunni è finalmente al completo, nella sontuosa villa di Nancy Brilli mantenuta di lusso, una piccola folla di personaggi comincia a prendere vita. C’è Massimo Ghini sinistro onorevole, c’è Athina Cenci psicoanalista nevrotica, c’è Christian De Sica showman fallito, c’è Fabio Traversa zimbello della compagnia, c’è Angelo Bernabucci romanesco greve, c’è Maurizio Ferrini inguaribile goliardo, c’è Eleonora Giorgi separata inquieta, c’è Isa Gallinelli amica petulante, c’è Caterina Vincenti la goliarda del gruppo con un peso sul groppone. Su tutti domina, naturalmente, Verdone detto il Patata, che sarà la vittima principale della crudeltà del gruppo: nel corso della festa sarà esposto al ludibrio il suo amore segreto di professorino mal maritato per l’allieva Natasha Hovey. E dopo l’inevitabile bagno notturno e una ritirata felliniana all’alba, ciascuno riprenderà la sua strada con qualche speranza o qualche amarezza in più.
“Compagni di scuola” non assomiglia affatto al film americano “Il grande freddo” al quale Verdone confessa di essersi ispirato: non ha, infatti, la minima ambizione di offrirsi come il bilancio di una generazione, anche se involontariamente lo è, non strizza l’ occhio ai sociologi né pretende di lanciare messaggi. E’ una serie di divagazioni sorridenti su temi di esperienza comune, intessuti con modestia pari all’ abilità: gli interpreti sono scelti benissimo anche nelle apparizioni fugaci e si destreggiano con ammirevole naturalezza. E al di là degli interpreti c’è tanto del suo autore nell’opera, c’è tanto della sua capacità di descrivere un’epoca, perché vuoi o no, “Compagni di scuola” è la riflessione su un’epoca, gli anni ’80, forse perché siamo alla fine del decennio (fine 1988) e quindi è anche giusto fare un bilancio; forse perché gli anni ’80, pur tra tante contraddizioni, sono il più periodo più nostalgico del nostro Paese. Tutto è giusto, ma è anche certo che Verdone si dimostra ancora una volta ottimo osservatore di un vissuto reale sul viale del decadentismo, la sua “Lente” d’osservazione entra a 365 gradi sull’involgarimento e l’A-culturazione di un periodo amaro a livello sociale. C’è di tutto in “Compagni di scuola”, riso, riflessioni ed empatie, ma anche tutte quelle tipologie di personaggi che noi tutti abbiamo avuto al nostro fianco a scuola: il tipo odioso e viscido (Massimo Ghini), il fanfarone (Christian De Sica), il cafone arricchito (Angelo Bernabucci), il candido nevrotico e pieno di ansie (Carlo Verdone), non manca proprio nessuno, anche “lo sfigato” di turno ovvero Fabris (Fabio Traversa): un bruttino vittima del cinismo dei “compagni”. Insomma, tutti gli attori sono intagliati sul proprio personaggio alla perfezione, anche chi, come il povero Fabris, scompare dopo 25 minuti di film, perché vessato all’inverosimile dal gruppo. Su tutti però svettano Athina Cenci, nei panni della saggia psicologa del gruppo, quella sempre con la testa sulle spalle; Christian De Sica, splendido cialtrone esattamente sulla stessa lunghezza d’onda di Walter Chiari in “La rimpatriata” (1963) di Damiano Damiani.
PER APPROFONDIRE:
A proposito, che sia il vero modello al quale si è ispirato Verdone? E per finire su tutti, svetta ovviamente il Verdone attore, che alla fine pur cornuto e mazziato, è forse l’unico del gruppo ad essere rimasto se stesso; e nel primo piano finale quando riprende a fumare, si dà e ci dà un bagliore di speranza e forse capisce che l’ esistenza non è quell’oscura selva di veleni da lui fino a quel momento tanto temuta, ma piuttosto un’opportunità da sfruttare, sia pure nella giungla della società d’oggi avara di emozioni e di sentimenti.
Eppure per questo capolavoro generazionale ed immortale, Verdone dovette lottare per fargli vedere la luce, lo stesso attore romano in un’intervista raccontò le fasi iniziali del progetto. Si era pressocchè all’inizio dell’estate del 1988, quando la sceneggiatura venne presentata a Mario Cecchi Gori che la apostrofò cosi: “Ma che cazzo scrivi!!!!! 17 personaggi so troppi!!!! un si fa nulla a Natale!!!! prenderete schiaffi da tutti!”. Nonostante la sfiducia del produttore s’inizia a girare, tra non poche difficoltà che mandano in crisi Verdone che per darsi forza invocò il padrino artistico Sergio Leone. Una volta finito il film, alla prima proiezione privata Cecchi Gori abbracciò Verdone rimangiandosi la sua diffidenza. Il film funzionava alla grande,nonostante il cinismo, la malinconia imperante, e il riso amaro, lungi dal Verdone virtuoso e da commedia, e fu uno strepitoso successo commerciale e di critica, che lo issò tra i film italiani più apprezzati e amati di tutti i tempi. Il 16 ottobre 1988, dopo due mesi di lavoro, terminarono le riprese. Ora sono passati esattamente trent’anni e il ricordo del film è limpido e indelebile, lo stesso Verdone qualche giorno fa ha voluto ricordare sulla sua pagina ufficiale di facebook il trentesimo anniversario della sua splendida opera:
“Il 16 ottobre del 1988 terminavo le riprese di Compagni di Scuola. Trenta anni fa! Prima della fine 2018 farò qualcosa per ricordare questo bel film al quale sarò sempre legato per la magnifica atmosfera, l’ispirazione, il ricordo di qualcuno che ci ha lasciato e la bravura di tutto il cast. I produttori pensavano che avrei fatto un film noioso e logorroico. E invece …”
(Carlo Verdone)