Siamo le parole che usiamo, le storie che ci raccontiamo e quelle a cui diamo ascolto. Il mondo non è fatto di cose e di fatti, ma di definizioni e di interpretazioni.
Non ce ne è accorgiamo, o forse facciamo finta di non accorgercene, ma di volta in volta accettiamo o rifiutiamo un evento, non per l’evento in sé ma per il modo in cui ci viene rappresentato, comunicato.
Da “i migranti che ci tolgono il lavoro” alla pandemia come metafora di guerra, se ci pensi tutti i fenomeni che accadono non vengono mai rappresentati in maniera asettica, ma c’è sempre almeno un punto di vista che, sostanzialmente, determina il tuo giudizio e la tua risposta cognitiva e comportamentale.
E questo avviene non solo con quanto accade “fuori da te”.
Se ad esempio perdi il lavoro, puoi iniziare a raccontarti (o magari te lo dicono) che tutto intorno a te non va per il verso giusto o che persino c’è qualcosa che non va in te. Un’altra interpretazione potrebbe essere che la tua vita ha solo subito un cambio di direzione. Attenzione, non un momento di arresto ma solo un’altra tappa del tuo percorso. Nel primo caso la tua risposta sarà concentrata sul problema, e resterai giorni (o settimane) a cercare di capire cosa c’è di sbagliato in te o intorno a te, mentre nel secondo caso vedrai quell’episodio solo come un punto all’interno di un disegno più grande e quindi, l’attimo dopo, ti concentrerai su come realizzarlo.
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Non esistono fatti, ma solo interpretazioni. La nostra vita, la società e il nostro mondo è permeato dalla comunicazione. Conoscerla ci aiuta a comprenderla e ad essere più consapevoli.
Come vedi, anche io ho parlato del fatto “lavoro perso” in due modi diversi, antitetici. L’ho sostanzialmente decodificato e mostrato sotto due punti di vista differenti. Nella realtà, prendendo per buono l’esempio di sopra, è solo accaduto che qualcuno ha perso il lavoro. Tutto il resto dipende da come interpreti quella situazione o da che storia vuoi raccontarti. Di punti di vista ce ne possono essere diversi, sta a te decidere quale accogliere o generarne uno tuo. E questo vale per tutte le cose.
“L’uomo è un’animale sociale”.
Senza voler scomodare Aristotele, è chiaro ed evidente che siamo condizionati dalla società in cui viviamo e dalle comunicazioni a cui siamo esposti. Tendiamo a rispondere agli eventi come fanno gli altri o a fare nostro un punto di vista solo perché ci sembra essere quello dominante e, quindi, “più sicuro”.
Comprendere e riconoscere questi meccanismi ci aiuta a capire la nostra vita, a prenderla in mano e a darle la direzione che vogliamo. Quante volte ti sei detto: non ho mai scelto veramente nulla della mia vita (o qualcosa di simile)? La scuola, l’università, il lavoro che stai facendo, dove vivi, etc.… mentre siamo nel flusso è facile, e per certi versi anche comodo, appoggiarci alle convenzioni.
Iniziare a interrogarsi su quanto (ci) accade ci porta a fare domande profonde (che pretendono risposte importanti), a sviluppare un pensiero critico e a far nascere nuove consapevolezze. Non è un caso che nei mesi di lockdown, complice l’anomalo “silenzio” che abbiamo vissuto, molte persone sono riuscite a trovare uno spazio per ascoltare, guardarsi dentro e ripensare la propria vita.
Quindi in definitiva ti sto dicendo che la comunicazione è “brutta e cattiva”, come direbbe mio nipote di 4 anni? No, sto dicendo che va conosciuta, compresa e utilizzata, non subita. Ed è proprio per questo che abbiamo voluto dedicare un numero fisso del nostro magazine a questo argomento.
Ivan Zorico
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