Tutto è comunicazione – L’editoriale di Raffaello Castellano

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Foto di Pete Linforth da Pixabay
Raffaello CastellanoDove eravamo rimasti???

Gli ultimi 4 mesi hanno visto l’Italia ed il Mondo intero sprofondare nell’incubo della pandemia da SARS-CoV-2 che tra le altre cose ha monopolizzato e verticalizzato totalmente la comunicazione e l’informazione. Ne è un esempio anche questo magazine, che, a partire dal numero di febbraio “Virale” fino al numero di maggio “Upgrade”, ha dipanato un racconto del quotidiano che si è concentrato interamente sulle problematiche, ma pure le opportunità che un cambio di paradigma così radicale come una pandemia virale porta insite in sé.

L’agenda politica, sociale, economica e culturale ha visto l’adozione di un lessico nuovo, di nuovi linguaggi e soprattutto di nuovi comunicatori.

Le parole nuove le conosciamo bene, sono: quarantena, lockdown, coronavirus, Covid-19, emergenza sanitaria, zona rossa, contagio, infetti, terapia intensiva, etc..

Il linguaggio nuovo è stato quello dei bollettini della Protezione Civile, delle Conferenze Stampa del Governo a tarda notte, delle dirette Facebook, delle stanze di Zoom, delle videochat di Skipe, degli innumerevoli webinar, videoconferenze e corsi online che si sono susseguiti senza soluzione di continuità.

I nuovi comunicatori sono stati un po’ a sorpresa gli scienziati, soprattutto epidemiologi, virologi, biologi, medici, veterinari, esperti di statistica e giornalisti scientifici, che hanno spopolato su tutti i media, soprattutto la televisione, che è passata con “estrema” naturalezza da prime serate animate da Panzironi e il Mago Otelma direttamente a virologi di fama come Ilaria Capua e Roberto Burioni.

I virologhi Roberto Burioni e Ilaria Capua
I virologhi Roberto Burioni e Ilaria Capua

Insomma, la scienza, quella ufficiale e rigorosa, ha goduto di uno spazio e di un’attenzione mai viste prima. Vuoi per paura, vuoi per disperazione, tutti noi, all’inizio della pandemia, perfino terrapiattisti, no-vacs e complottisti vari, ci siamo rivolti alla scienza per avere una qualche indicazione, una parola di speranza, un conforto, un’informazione sicura.

Ma tutto questo è durato poco, sono stati diversi i fattori che ci hanno piano piano allontanato dalla scienza. Due su tutti, secondo chi scrive, i motivi principali: da una parte la diffusa ignoranza del pubblico generalista sul funzionamento del metodo scientifico, e dall’altro gli scienziati stessi, che, ubriacati dall’attenzione mediatica e abbagliati dalla luce dei riflettori, hanno per la maggior parte sprecato questa occasione d’oro che il virus gli aveva offerto.

Ma analizziamo più approfonditamente entrambi i motivi.

Per quale motivo l’ignoranza su come funziona la scienza ha portato lentamente ma inesorabilmente le persone a disaffezionarsi agli scienziati?

La scienza, al contrario di quello che pensa la gente comune, non fornisce certezze, ma anzi va avanti per tentativi ed errori, teorie e confutazioni, successi e fallimenti. Fra i postulati fondamentali del metodo scientifico ci sono: che una teoria possa essere falsificata, che un esperimento possa essere replicato da un altro gruppo di scienziati, che un articolo scientifico, prima della pubblicazione, debba essere validato da una comunità di pari. Quindi la scienza, nelle migliori condizioni, propone teorie, ipotesi e studi che hanno una funzione pratica, temporanea e possibile di verifiche future. Spingendo più in là il nostro ragionamento, potremmo dire che se qualcuno propone una certezza inconfutabile, assoluta ed immutabile, possiamo stare certi che non si tratta di scienza, ma di qualcos’altro.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Quindi, alla luce del funzionamento del metodo scientifico, abbiamo capito che chiedere certezze alla scienza è non solo sbagliato ma addirittura bizzarro, perché la scienza non è un dogma immutabile, ma un processo dinamico ed in continua evoluzione.

Ma veniamo al secondo motivo: è indubbio che la maggior parte degli scienziati passati per la radio, le dirette web e soprattutto la TV, abbiano peccato di narcisismo, finendo molto spesso per litigare fra loro, urlando e contribuendo alla confusione e disaffezione del pubblico, che invece era alla ricerca di rassicurazioni e di qualche parola di speranza. La colpa di questo purtroppo risiede nella natura degli esseri umani, che, posti sotto i riflettori e la ribalta mediatica, spesso perdono la bussola e dimenticano il loro ruolo. A discolpa della categoria si potrebbe addurre il fatto che, ignorati per anni, mai ascoltati, sottopagati e frustrati, gli scienziati si siano fatti prendere la mano e non abbiano saputo gestire un processo comunicativo così ampio, articolato e complesso come quello mediatico, nel quale non ci si rivolge a pochi ricercatori sparsi per il mondo, che in definitiva parlano la stessa lingua, ma ad un pubblico generalista, a digiuno di sapere scientifico e bisognoso di un linguaggio più divulgativo, piano e chiaro.

Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione

La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato.

Ma, come ho ribadito all’inizio di questo editoriale, una cosa è l’informazione, altra cosa è la comunicazione, saper divulgare è una capacità che bisogna saper imparare, coltivare ed esercitare, e gli esempi di semplificazione e potabilizzazione di termini e discipline complesse abbondano. Pensiamo al lavoro di divulgatori scientifici come Piero ed Alberto Angela, Mario Tozzi, Luca Mercalli, di quelli storici come Alessandro Barbero o Paolo Mieli, o di quelli economici come Carlo Cottarelli o Francesco Specchia, quest’ultimo fautore di un comunicazione economica non solo divulgativa, ma addirittura pop, come il fortunato esperimento del canale multipiattaforma POP Economy dimostra.

Ed è proprio il giornalista e direttore di POP Economy, Francesco Specchia, che abbiamo intervistato sul tema di “tutto è comunicazione” e che ci ha aiutato ad orientarci meglio in questo particolare periodo storico, congestionato ed intasato di parole, informazioni contraddittorie, dichiarazioni politiche e fake news.

Il giornalista e Direttore di POP Economy, Francesco Spechhia
Il giornalista e Direttore di POP Economy, Francesco Spechhia
Prima di concludere, permettetemi un’ultima digressione, che come mia abitudine sarà “laterale”.

Quale è, se c’è, la forma di comunicazione che meglio ci può aiutare a comprendere, filtrare e classificare meglio l’immensa quantità di informazione e comunicazione che quotidianamente ci sommerge?

Penso, ma sono molto sicuro, che la forma di comunicazione migliore per comprendere il presente sia l’arte, soprattutto contemporanea. Come sapete, quasi dall’inizio della sua nascita questo magazine affida ogni mese il tema alla sensibilità di un artista sempre diverso, scelto proprio per le sue caratteristiche di stile e linguaggio. Lo sappiamo benissimo che un’immagine ci dice molte più cose di un articolo: è più immediata, più interessante, più seducente, certo non sempre risulta facile, o di univoca o rapidissima lettura, però l’arte (come tutta la cultura) ci costringe in un mondo scandito da tempi sempre più concitati, come questi della ripartenza da Fase 3, a fermarci, guardare, ammirare e riflettere, insomma l’arte, come ho detto altrove, ci aiuta a concentrare la nostra attenzione, affinare il nostro pensiero ed ad approfondire il nostro senso critico.

Pensate che stia esagerando?

Allora vi propongo un piccolo e veloce test, proponendovi le tre Copertine d’Artista che il nostro magazine ha dedicato negli anni al macro-tema della comunicazione: la prima, del giugno 2015, realizzata da Michele Petrelli, dall’iconico titolo “Enforced Silence” (Silenzio Forzato); la seconda, del giugno 2019, realizzata da Vincenzo Maraglino, dal lapidario titolo “Atrofizzati”, e la terza, quella di questo 74° numero, del giugno 2020, realizzata da Paola Montanaro, dall’emblematico titolo “Urlo”, e vi sfido a trovare tre “sintesi” migliori per raccontare l’attualità, il contemporaneo, la nostra stessa vita.tris-copertine-dartista-tutto-e-comunicazione

L’arte, e la cultura in generale, ci aiutano a comprendere il presente, immaginare il futuro e ad addestrarci al cambiamento, ed è anche per questi motivi che questo magazine si sforza di avere un approccio laterale ed originale al contemporaneo, proponendovi rubriche come quelle del cinema, della musica e quella della Copertina d’Artista, perché, all’apparenza, potrebbero sembrare superflue od off topic in un mensile di marketing ed innovazione come il nostro, ma in realtà sono quelle che più caratterizzano la nostra natura, il nostro stile, la nostra linea editoriale, e che voi, i nostri lettori, numeri alla mano, sembra apprezziate particolarmente.

Buona lettura

Raffaello Castellano

 

 

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