Uno dei primi libri sulla comunicazione che ho letto in vita mia è stato “Le nuove tecniche di comunicazione”, un agile manuale di Maurizio D’Ambra uscito per De Vecchi Editore (oggi nel Gruppo Giunti) nel lontano 1994.
All’epoca facevo il venditore per un’azienda veneta che aveva uffici in tutta Italia.
Sono andato a riprenderlo in questi giorni per scrivere questo editoriale e devo dire che sfogliandolo lo trovo ancora attuale, oltre che scritto benissimo, con uno stile divulgativo, ricco di esempi e con delle divertenti illustrazioni esplicative.
La domanda che mi pongo e vi pongo allora è: “Ma possibile che in 30 anni la comunicazione interpersonale sia cambiata così poco?”
Adesso, qualcuno sicuramente obietterà, ma la mia affermazione non è scaturita solo dal recupero di questo manuale, si tratta di qualcosa di più.
Negli ultimi due mesi ho frequentato, come ho scritto in qualche post sui social, due palestre di coaching, durante le quali, anche se ho appreso tanto, ho potuto constatare che molti dei postulati e delle tecniche che abbiamo adoperato si rifacevano alla teoria della Pragmatica della Comunicazione Umana di Watzlawick ed altri dei primi anni ‘70, alla PNL di Richard Bandler e John Grinder, anche questa dei primi anni ‘70, e all’Analisi Transazionale ideata da Eric Berne addirittura negli anni ‘50 del secolo scorso.
Certo oggi ci sono altre teorie, la psicologia ha fatto notevoli passi avanti, eppure chi come me ha superato i 50 anni spesso e volentieri si trova in quella strana e a volte fastidiosa sensazione di déjà vu in cui quello che sente, legge o magari ascolta durante un corso o un workshop di formazione sembra già visto, già provato, già fatto.
Sarà che mi sto facendo vecchio e che questa sensazione di déjà vu pervasivo ne è un chiaro segnale, rimane il fatto che la comunicazione umana, anche in questa ennesima rivoluzione tecnologica guidata dalle AI, rimane una faccenda molto terrena, pragmatica e pratica, mi verrebbe da dire analogica se non corressi il rischio di essere frainteso dopo aver citato gli studi di Watzlawick e della Scuola di Palo Alto.
Ma, déjà vu personale a parte, le cose stanno davvero così?
Oppure aveva ragione un altro “vecchio” studioso di comunicazione come Marshall McLuhan (e qui siamo al cospetto di un corpus di studi che parte dalla metà degli anni ‘40 fino agli anni ‘80 del secolo scorso) che ci ha sempre detto che il “medium è il messaggio” e che “Le società sono sempre state modellate più dal tipo dei media con cui gli uomini comunicano che dal contenuto della comunicazione”?
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Il ruolo della comunicazione è fuori discussione. Gli effetti di questa sovraesposizione un po’ meno. Abbiamo iniziato a conoscere le fake news, la post verità, le dipendenze dai social. Il mondo in vent’anni non è solo cambiato, si è trasformato completamente. E’ altro.
Per rispondere potrei cavarmela con un diplomatico e furbo “dipende”, ma in realtà non so bene cosa rispondere, le teoria della pragmatica della comunicazione per molti studiosi moderni è in parte superata, la PNL, dopo il boom degli anni ‘80 e ‘90, oggi è considerata da molti studiosi una pseudoscienza, l’Analisi transazionale è troppo legata alla psicanalisi freudiana per non aver ricevuto aspre critiche e Marshall McLuhan, il profeta dei media, tutto sommato scriveva a metà del secolo scorso.
Possibile che tutti questi siano ancora pilastri importanti della comunicazione interpersonale?
Penso che la risposta più saggia a queste domande sia quella di affidarmi al titolo e al messaggio principale di un film di Woody Allen del 2009, “Basta che funzioni”, dove il protagonista ed alter ego di Allen, Larry David, attore e comico statunitense, nel monologo finale anche se parla di amore e relazioni sembra dirci cose che vanno bene anche per la comunicazione.
Vi lascio con le sue parole e vi auguro buona lettura con il nostro numero di Giugno che, come sapete, si intitola “Tutto è Comunicazione” e come al solito vi aspetto nei commenti.