Ci sono eventi in cui limitarsi a darne notizia è superfluo, bisogna viverli, ed oggi non vorrei raccontare l’evento così come lo si narra solitamente, con la scaletta, gli ospiti e la musica, perché così facendo non aggiungerei null’altro ad un fatto di cronaca.
Oggi mi piacerebbe raccontare una città, quella di Taranto, così come la vive un cittadino qualsiasi, con lo stesso amore e lo stesso desiderio di riscatto e le stesse aspettative che un evento come l’”Uno Maggio Taranto Libero e Pensante” può portare con sé.
Troppo facile e troppo riduttivo sarebbe raccontare la bellissima festa che, ogni anno dal 2013 (polemiche e Covid permettendo), si svolge nell’area del Parco Archeologico delle Mura Greche nel cuore della città, parlare degli ospiti, dell’organizzazione o delle presenze.
Certo, potrei dire che ci sono persone, in primis il “Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti”, ma anche i direttori artistici Michele Riondino, Antonio Diodato e Roy Paci, che senza risparmiarsi si spendono affinché questo evento abbia rilevanza nazionale, quella rilevanza che invece non è riservata alle tematiche che l’organizzazione del concerto intende amplificare: il lavoro, la salute, la pace, l’ambiente, non fanno abbastanza notizia, la musica, gli ospiti, la massa di gente che un evento di questa portata sposta, invece, attirano l’attenzione dei più.
Ma per capire quello che un evento come l’Uno Maggio suscita non si può essere cronisti distaccati, non si può dire soltanto che a condurre l’evento c’erano Martina Martorano, Serena Tarabini e Andrea Rivera, e che quest’anno sul palco si sono esibiti artisti come Gaia, Giovanni Caccamo, che ci ha regalato un bellissimo omaggio a Franco Battiato, Margherita Vicario, Cosmo, i Calibro 35, gli Eugenio in via di Gioia, o che abbiamo riascoltato con piacere Erica Mou, i Terraross, The Niro, The Zen Circus, o che aspettavamo il ritorno dei 99 Posse; non si può solo raccontare l’energia di Diodato e Gianni Morandi, l’emozione che Ermal Meta e Giuliano Sangiorgi ci hanno regalato, bisogna mischiarsi tra la folla, guardare il via vai di gente che, dal mattino fino a tarda sera, affolla il parco, ballare, saltare, cantare, incrociare gli occhi con chi in questo concerto vede un’occasione di riscatto, ci mette i sogni, le aspettative, le speranze, e forse qualche rimorso e qualche rimpianto.
Bisogna raccontare una città dalle molteplici anime, quella di Taranto, divisa tra vocazione turistica, alla quale aspira, e retaggio industriale, che a torto o a ragione rimane pur sempre l’unica fonte di reddito per moltissime famiglie, una città spaccata tra bellezze storico-naturalistiche ed ecomostri.
Una città che, vista da fuori, potrebbe sembrare una città apatica, indolente, ripiegata su sé stessa e rassegnata, una bruttura, un ammasso di cemento e ferro, ma non è così, ed il concerto del primo maggio ne è l’esempio più lampante; non si può immaginare quanta vita scorra in quei palazzoni, negli ecomostri che la caratterizzano, nei suoi abitanti che da un po’ di tempo hanno smesso di essere rassegnati ed indifferenti, hanno cominciato a chiedere giustizia ed attenzione, hanno ricominciato ad amarsi.
Il concerto non è solo una festa, è un grido di dolore, ma anche di riscatto di una terra sfigurata dall’inquinamento, una terra in cui si muore di cancro molto più che di qualsiasi altra malattia, una terra in cui a pagare le conseguenze più gravi sono i bambini.
Tutti abbiamo sperimentato l’oppressione del lockdown e delle mascherine; a Taranto l’oppressione si vive da decenni, è negli occhi dei bambini che non possono uscire a giocare per strada, è negli occhi di chi è costretto a vivere con le finestre chiuse perché l’aria fuori è insalubre. A Taranto manca l’aria, e l’oppressione non è solo fisica, è anche, e soprattutto, mentale, è incertezza sulla fine di tantissimi lavoratori, non solo del comparto metalmeccanico, è l’incertezza sulla salute, è la mancanza di prospettive di tantissimi giovani che sono costretti a realizzare i propri sogni altrove.
Il concerto dell’Uno Maggio Libero e Pesante cerca di raccontarlo e di dare voce a chi normalmente non ne ha, perché non riceve la giusta attenzione politica o mediatica, oppure perché alcune rivendicazioni sono troppo scomode e non possono ottenere risposte immediate.
È stato così anche in questa edizione in cui si è parlato di molteplici temi e si è voluto dare spazio ad una rete più estesa di comitati e movimenti, sparsi in tutta Italia, che lottano affinché vengano prese in considerazione alcune questioni ambientali, sociali e di diritto al lavoro che non interessano solo Taranto, ma che a Taranto sono vicine per tematiche; sul palco, infatti, si sono succeduti alcuni interventi tra cui quello di Luisa Impastato (nipote di Peppino), Cecilia Strada (figlia di Gino, fondatore di Emergency), Cristina Mangia (ricercatrice del CNR) e Raffaele Croppo (giornalista e direttore dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo), solo per citarne alcuni.
L’Uno maggio a Taranto, però, non è solo musica, non è solo rivendicazione, non è solo aggregazione, è anche bellezza, quella bellezza che sopravvive nonostante tutto, quella bellezza che gli artisti ed i musicisti, che ogni anno la visitano per prendere parte al “controconcertone” non smettono di notare, è anche la promozione del territorio che arriva con i loro racconti, o forse semplicemente è “il mare di Taranto verso sera..”, “è un’esplosione di musica e di gioia..” così come la racconta Gianni Morandi, così come dovrebbe essere sempre.
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