La tecnologia ha semplificato la vita, rendendola allo stesso tempo più complessa. Gli strumenti a disposizione sono costantemente in aggiornamento e il timore di non essere al passo genera ansia e stress.
Il tecnostress era già diagnosticato negli Anni ‘80 ma le proporzioni che ha recentemente raggiunto sono incommensurabilmente maggiori. Le ragioni sono da ricercare in primis nell’impiego eccessivo di strumenti tecnologici, spesso utilizzati per risparmiare tempo e velocizzare la crescente mole di lavoro a volte con un riscontro deludente.
Inoltre, la commistione tra lavoro e vita privata è diventata una vera invasione di campo decretata soprattutto dai mezzi che permettono di non staccare realmente dal lavoro rimanendo sempre connessi. Aggiungiamo delle tecnologie sempre in evoluzione che fanno sentire l’uomo incompetente e l’avanzare dell’AI che in molti genera paura per l’erosione di piccole tasks lavorative. Nel momento in cui questi elementi si mixano la bomba esplode e fa scomparire la resilienza di chi si trova in mezzo.
Si è passati dall’elogio del multitasking al ritorno al cervello primitivo che sanciva di fare una cosa per volta, ma fatta bene.
Le aziende, o almeno così la raccontano, scelgono di non retribuire gli straordinari per rendere il lavoro ancora più flessibile ed assicurarsi che i lavoratori abbiano sufficiente tempo libero e non vadano in burnout. Ritorna l’idea di sapere un po’ di tutto per non svolgere un lavoro troppo monotono e ampliare le competenze aziendali.
Ma alla fine, lo stress rimane, il lavoro non diminuisce ma si accumula e gli straordinari non sono più pagati. E questo, stressa ancora di più.
Per disintossicarsi dal lavoro, ma portare a casa la pagnotta, un suggerimento potrebbe essere di non cercare dispositivi multitasking perché, seppur comodi rischiano di essere totalizzanti.
Scopri il nuovo numero: “No Wi-fi zone!”
Ormai è tutto completamente automatico e involontario: azioni lo smartphone, leggi un contenuto, apri un’app, vedi una notifica, guardi un video, poi un altro, e intanto il tempo passa senza che tu te ne renda conto. E, inoltre, anche la tua attenzione verso quello che stavi facendo è scemata. Recuperarla significherà altro tempo. E via così sino alla prossima notifica, quando il circolo vizioso riprenderà.
Il computer scansiona, si collega a internet, ha l’orologio, la sveglia, il calendario, le notifiche, la calcolatrice, le foto, il telefono, la rubrica dei contatti, un programma per call e riunioni. E probabilmente molto altro di cui non sono a conoscenza. Ma nel momento in cui lo strumento si blocca anche solo per un aggiornamento o per una disconnessione dalla rete, non possiamo neppure telefonare al capo per avvisarlo.
In assoluta controtendenza allo stile minimal, riprendiamoci le scrivanie incasinate, riprendiamo la calcolatrice, il blocco e le penne per scrivere e far fare ginnastica ai polsi intorpiditi dalla tastiera e dal mouse. Ne gioverà il nostro tunnel carpale. Distogliamo lo sguardo dal PC per comporre un numero di telefono su un telefono. Forse riusciremo a sviluppare la miopia dopo i 18 anni e non già nell’infanzia. Sviluppiamo la memoria imparando qualche numero, anche se la rubrica on line ci urla: “MA CHI TE LO FA FARE!” Oppure pensiamo a strade alternative per uscire dal traffico, senza la voce in sottofondo che ci dice: “Ricalcola il percorso”. Giusto per risparmiare la fatica di comprare sudoku e settimana enigmistica per allenare la mente.
E anche quando acquistiamo un cellulare, compriamolo per telefonare. Per le foto, c’è la fotocamera, per l’ora c’è l’orologio. Uno per uno. Uno strumento alla volta. È vero, uno per tutti è comodo. Ma come facciamo a mollare il colpo, se senza di quell’oggetto non riusciamo neppure a sapere a che ora andare in pausa pranzo, a decidere cosa mangiare inquadrando il QR code del menu e pagare quando ordinato?
È una costante intossicazione.