La cosa più bella del fare nuove esperienze è quella che tutto, almeno nei primi tempi, ti appare come una scoperta. È come se vedessi tutto per la prima volta.
È una condizione che ti riporta magicamente a quando da piccolo prendevi inconsciamente nota dei modi di fare e di vivere (insomma dello stare al mondo) per posizionare te stesso nella giusta direzione.
Ecco che, con gli stessi occhi da “anima di dio” (cfr. naif o di chi guarda al mondo con un velo di ingenuità), mi sono ritrovato, da ormai due settimane, a guardare le cose come nuove e a registrarle nella mia mente.
Iniziamo.
1. L’ombrello, questo sconosciuto.
La prima cosa che ho messo in valigia prima di partire è stato l’ombrello. Mi sono detto: in un posto dove piove praticamente sempre, l’ombrello è fondamentale. E in effetti, arrivato a Oxford, ne ho avuto la conferma. Perché, anche in un giorno dove apparentemente non dovrebbe piovere (in base a quello che la tua esperienza pregressa ti dice), qui invece piove. È così. C’è poco da fare. Anche solo per un’ora al giorno, ma piove. È legge.
Bene, in un posto come questo, penserete (o almeno lo pensavo io) che l’ombrello fosse l’accessorio immancabile per definizione. Del tipo, cose da prendere prima di uscire di casa: chiavi della macchina, portafogli e ombrello. Per me sarebbe questa la combinazione perfetta.
E invece no. Qui no. Per gli autoctoni non è così. Non so, saranno degli ottimisti sfegatati, saranno idrorepellenti o sarà che, da esperti bookmakers, se la giocano sulle probabilità di pioggia. Non lo so. Fatto sta che capita di sovente vedere persone che mentre scende la pioggia non fa nulla per trovare un tetto per ripararsi, non indossa il cappuccio della felpa e continuano a fare le loro attività come se nulla fosse. Ho visto anche (da leggere in modalità Roy Batty di Blade Runner) due persone parlare amabilmente sotto una pioggia bella forte, così in scioltezza e libertà. Vabbè.
2. Piovono gatti e cani
Rimaniamo sul tema pioggia. Come da noi, anche qui esistono diversi modi di dire per identificare diversi modi di piovere. Non so tipo: “piove di brutto”, “piove a catinelle” o “sembra che il Signore stia gettando l’acqua con i secchi” (non sono certo che questa si dica in tutt’Italia, forse è più meridional-tarantina). Qui una della espressioni che ho trovato più simpatica per indicare una pioggia forte è: “It’s raining cats and dogs”. Ho cercato sul web per capirne la provenienza e ho trovato diverse fonti che si rifanno ad un tempo passato e mitologico fatto di streghe e Dei. Se volete approfondire cliccate qui.
La cosa bella è che se qualcuno di qui ve la sente dire, sapendo che non siete del posto, vi guarda con ammirazione. Quindi ricambiate subito fieri lo sguardo d’approvazione e poi però ve ne andate immediatamente prima che vi smascheri. Alla fine ricordate: siete in terra straniera solo da pochi giorni. Ci sgamano facile.
3. La bacinella nel lavandino
Passiamo all’igiene in casa. Noi italiani siamo molto attenti a queste cose e lo sappiamo. Siamo evidentemente suscettibili su questo tema. Il consiglio numero uno è quindi non guardare. Sorvolare. Non fare attenzione ai “particolari”. Si vive meglio. Però dai, nel lavandino non si può mettere una bacinella ed immergere tutto indistintamente. Poi non contenti prendere i piatti insaponati, non risciacquarli e metterli direttamente ad asciugare. Sarò troppo scrupoloso io?! Non so. Non è modo.
4. Parole magiche: I mean (e dintorni), Like e A kind of, come se non ci fosse un domani
Allora partiamo con ordine: “I mean” è l’intercalare per definizione da mettere a inizio frase. È il nostro “cioè”. Quando finisci una frase ci attacchi un bel “You know what I mean” (sai quel che dico / cosa intendo / quello che voglio dire) e l’altro, da far suo, ti risponde con un altrettanto bel “I know what you mean” (ossia sì, sa di quel che parliamo). E via così in scioltezza nella conversazione.
Invece con “Like” e “A kind of” sei in grado di spiegare la qualsiasi. Esempi a ripetizione per spiegare quella c***o di parola specifica che proprio non ti viene. Per poi l’attimo dopo controllare su Google Translate ed esclamare il più classico degli “Aaaaaah, ma la sapevo”. Poi l’attimo dopo alzi lo sguardo e il tuo interlocutore ti guarda con la tipica espressione inglese del tipo: “Che stai a di’?!?!”. Vabbè, è andata anche questa.
5. Da grande voglio fare l’autista degli autobus
Se a 6 anni avessi visto con quale riverenza le persone qui si rivolgono agli autisti degli autobus non avrei avuto dubbi: da grande avrei voluto essere quel signore che guida gli autobus. Per prima cosa si sale tutti dalla porta davanti. Una volta sul mezzo si saluta gentilmente l’autista, si passa il biglietto nell’apposita macchinetta e si aspetta il suo ok ad accomodarci. Se non ce l’hai, te lo sei dimenticato, non hai soldi, o qualsiasi altra ragione, c’è poco da fare: non si sale. È l’espressione dell’autorità, cordiale ma autorevole. Quando si scende tutti lo ringraziano e lui ti augura con il sorriso una buona giornata (di pioggia, perché sappiamo già che pioverà. È scritto nelle stelle.). Il tutto in una atmosfera di insolita cordialità. Tutto molto bello.
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