Vanity Fair: una bella lezione di libertà, ispirazione e giornalismo

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Fra i compiti che un giornalista dovrebbe svolgere per fare al meglio il suo lavoro, il più importante, e spesso il più trascurato, è quello di leggere per tenersi aggiornato. Leggere libri, quotidiani, siti online di news, politica e costume, riviste specializzate dei settori più di tendenza e, in particolare, quelle della concorrenza.

Leggere insomma è, secondo la mia particolare esperienza e gli insegnamenti che ho avuto durante la mia gavetta da apprendista giornalista, non solo utile ma fondamentale, e lo è diventato ancora di più da quando nel marzo 2014 sono diventato direttore responsabile di questo magazine online.

Riviste come Millionaire e Capital, quotidiani come ilSole24ore e Repubblica, siti come The Vision e Lettera 43, settimanali come La lettura e Il Domenicale, sono stati, negli anni, fonte inesauribile di spunti ed ispirazione oltre che vere palestre di giornalismo.

Non mi è mai capitato di provare invidia per nessun editore, rivista o direttore di giornale, anzi, quanto più i loro scoop, i loro reportage, le loro inchieste avevano successo, tanto più mi spronavano a migliorare la mia scrittura, ad approfondire le mie conoscenze, a verificare le mie fonti ed a riorganizzare le mie idee, in una parola a fare meglio il mio lavoro di giornalista.

La copertina del 39° numero di Vanity Fair con bellissima modella transgender Roberta De Titta Graziano.
La copertina del 39° numero di Vanity Fair con bellissima modella transgender Roberta De Titta Graziano.

Quanto detto sull’invidia, però, in tutta franchezza, nelle ultime due settimane, fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, è stato messo a dura prova. Infatti mai come in questo lasso di tempo avrei voluto che il nostro magazine fosse Vanity Fair ed io il brillante e creativo direttore responsabile dello stesso, Simone Marchetti.

Il perché è presto detto: gli ultimi due numeri del noto settimanale di moda e tendenze, il 39°, uscito a fine settembre, ed il 40°, all’inizio di ottobre, con le relative cover, sono diventati due degli argomenti più discussi e divisivi non solo nel web ma anche del dibattito politico e culturale.

Se siete fra quei pochi che non sapete di cosa io stia parlando, facciamo un breve riassunto: il 39° numero di Vanity Fair (in edicola il 23 settembre) è stato un vero esperimento, l’editore Condé Nast ed il già citato direttore Simone Marchetti hanno affidato la direzione artistica dell’intero numero al notissimo artista italiano Francesco Vezzoli.

Il numero era dedicato a “Le donne italiane”, con una copertina che ritraeva, già questa una dichiarazione programmatica, la bellissima modella transgender Roberta De Titta Graziano, che però, nonostante il bigottismo e l’omofobia dilaganti nel nostro Paese, è “stranamente” passata quasi inosservata. Il perché è presto detto: all’interno del settimanale realizzato da Vezzoli, immaginato come una grande galleria d’arte di ritratti femminili, fra le donne chiamate ad impersonare famose icone della storia figurava anche la nota fashion blogger e imprenditrice italiana Chiara Ferragni, che l’artista ha ritratto, in un riuscitissimo mashup, come la Madonna con il bambino dipinta da Giovanni Battista Salvo detto il Sassoferrato.

Chiara Ferragni nel ritratto di Francesco Vezzoli.
Chiara Ferragni nel ritratto di Francesco Vezzoli.

Ed allora apriti cielo, l’immagine della Ferragni è subito diventata virale, spaccando il web, e l’opinione pubblica più in generale, fra chi gridava allo scandalo se non alla blasfemia e chi invece apprezzava l’operazione culturale e sovversivamente creativa realizzata dalla testata. Il polverone mediatico è stato immenso ed il numero di Vanity Fair, visto l’autore già da collezione, è andato letteralmente a ruba. Altri lettori ha significato altre polemiche che hanno causato una reazione a catena di commenti e condivisioni sia sul web che sugli altri organi di informazione. Molti, la maggior parte dei commentatori, ha gridato allo scandalo, dichiarando il proprio imbarazzo e sconcerto per la scelta dell’artista di ritrarre Chiara Ferragni come una Madonna, perché il personaggio non sarebbe “degno”, stando a queste critiche, di essere raffigurato come la Santa Vergine della Cristianità.

Scopri il nuovo numero: #ripartItalia

Mai come ora, in questo settembre 2020, un numero come #ripartItalia sembra utile e necessario perché, mai come adesso, in questo nefasto anno bisestile, abbiamo bisogno di fare il punto sulle cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite.

Eppure basta farsi una passeggiata a Roma per arrivare alla Basica di Sant’Agostino ed ammirare la famosa “Madonna dei pellegrini” di un certo Caravaggio per scoprire che le modelle che hanno ispirato ed impersonato la Santa Vergine nella storia dell’arte erano assai più “chiacchierate” di Chiara Ferragni. Nell’opera in questione, ad esempio, è noto che Caravaggio utilizzò come modella una famosa “cortigiana” d’alto bordo, Maddalena Antognietti, detta Lea, che intratteneva una relazione anche con lo stesso pittore. Ora, una escort, seppur di alto bordo, è sicuramente meno “adatta” di una fashion blogger, imprenditrice capace, madre amorevole e moglie devota come Chiara Ferragni ad impersonare la Madonna. Forse l’unica colpa della Ferragni è quella di avere un successo strepitoso nella vita e negli affari che un certo “pubblico meschino” non può e non vuole perdonarle.

Era già successo un paio di mesi fa, quando la fashion blogger realizzò un tour prima agli Uffizi di Firenze ed a Palazzo Barberini di Roma ma anche al Museo MarTa di Taranto: da tutte le parti si erano scatenate le critiche e le proteste, anche dal mondo accademico ed intellettuale, che pareva diviso circa la positività dell’operazione di promozione. Ma questa volta si è andati decisamente oltre, per la foto di Vanity Fair si è mobilitata addirittura la Codacons con un esposto legale presentato alla Procura della Repubblica e al Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini.

La "Maddonna dei pellegrini" (o del Loreto) di Caravaggio.
La “Maddonna dei pellegrini” (o del Loreto) di Caravaggio.

Ma non è finita qui: se un successo così strepitoso può bastare per un anno o più a qualunque magazine ed editore, la settimana successiva Vanity Fair è riuscita a fare il bis ed ha capitalizzato nuovamente l’attenzione mediatica con un altro numero strepitoso dedicato sempre alle donne, con una cover questa volta, che ha causato un secondo boom di vendite e commenti.

Il 40° numero della rivista infatti ritraeva sulla copertina una splendida Vanessa Incontrada senza veli e ritocchi digitali che si è spogliata letteralmente di tutti gli orpelli per raccontarsi in una lunga ed appassionata intervista. L’intento era quello di mostrare una bellezza non allineata ai canoni “attuali” che vogliono modelle e bellezze fotocopia che difficilmente superano i 40 kg di peso e la taglia 38-40. La Incontrada invece è meravigliosa nella sua bellezza burrosa di quarantenne che finalmente, come dichiara nell’intervista, è scesa a patti con il suo corpo e, soprattutto, con le opinioni degli altri, che in passato hanno profondamente condizionato la sua vita. Il messaggio ed il titolo del magazine era “Nessuno mi può giudicare (nemmeno tu)” ed esplorava un nuovo modo di intendere la bellezza, soprattutto quella femminile.

Ma questi, che possono sembrare due colpi di fortuna, sono invece il risultato di una precisa scelta editoriale che sta portando il magazine di punta dell’editore Condé Nast a diventare leader di mercato, soprattutto da quando nel dicembre 2018 la direzione è stata affidata a Simone Marchetti, 47 anni, una laurea in Filosofia alla Statale di Milano, con una lunga gavetta in quotidiani e riviste e con una grande passione ed una conoscenza della moda e degli strumenti social.

La copertina del 40° numero di Vanity Fair con la splendida Vanessa Incontrada.
La copertina del 40° numero di Vanity Fair con la splendida Vanessa Incontrada.

In poco più di un anno la linea editoriale del settimanale si è concentrata nello sradicare il bigottismo, l’intolleranza di genere, l’omofobia e la violenza sulle donne con articoli, reportage e copertine coraggiose, di cui questi ultimi due numeri rappresentano finora le vette più alte. Inoltre, Vanity Fair ha deciso di ibridare ancora di più il mondo della moda e dello style con tutti quei mondi attigui e complementari, come la cultura, l’architettura e, soprattutto, l’arte contemporanea, e quest’ultima scelta in particolare è la stessa che anche il nostro magazine ha abbracciato da 6 anni, quando lanciò la sua “Copertina D’Artista”, nel gennaio 2015 (qui trovate la prima realizzata dall’artista Giulio Giancaspro).

Ma allora, dove voglio andare a parare?
Due sono i motivi che mi hanno portato a scrivere questo articolo.

Il primo è quello di raccontare due capolavori editoriali incasellati dallo stesso settimanale in due uscite consecutive, che sono frutto, come già detto, non di fortuna, ma di metodo, ricerca e una precisa strategia, che, in un mercato editoriale pigro, poco coraggioso e paludato, come spesso è quello italiano, acquista ancora più valore, diventando, ne sono convinto, punto di riferimento per l’intero settore.

Il secondo è un motivo un po’ più articolato: per l’ennesima volta delle immagini geniali, sovversive e coraggiose, diventano motivo per una profonda spaccatura dell’opinione pubblica e politica e, cosa assai più grave, anche in questa occasione i social network hanno radicalizzato, inasprito e amplificato a dismisura da un lato l’immancabile ignoranza di buona parte dei commentatori occasionali e dall’altro l’estrema violenza verbale degli haters che, purtroppo è triste rilevarlo, sono sempre in aumento.

Simone Marchetti che dal dicembre 2018 è alla guida di Vanity Fair.
Simone Marchetti che dal dicembre 2018 è alla guida di Vanity Fair.

Credo da direttore di un magazine di “addetti ai lavori”, come Smart Marketing, che forse l’unico rimedio per contrastare questa deriva di odio nei social sia quella di educare, fin dalla scuola elementare se non da quella dell’infanzia, le nuove generazioni ad un uso consapevole e responsabile dei social network e della rete più in generale. Se per noi adulti è probabilmente troppo tardi imparare un codice di condotta etico della rete, dovremmo concentrarci sulle prossime generazioni.

Si è parlato in passato ed a più riprese di istituire una sorta di “patentino” per navigare in internet, e l’idea, per quanto radicale ed estrema, non è del tutto perniciosa. Pensiamoci, anche per guidare una moto è richiesta la frequentazione di una scuola e il superamento di esami teorici e pratici, e credo sinceramente che un profilo social nelle mani sbagliate possa causare molti e più gravi incidenti di un ragazzo in moto.

Infine, permettetemi una chiusura delle mie: chi ha tacciato la rivista Vanity Fair di aver trattato gli argomenti della bellezza, delle donne e dell’arte con superficialità, e fra questi ci sono stati molti intellettuali, dovrebbe ricordarsi il monito del grande filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel quando disse:

“Non c’è niente di più profondo di ciò che appare in superficie.”

 

 

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