Anna Rita Leone (4)
“In vino veritas” recita l’adagio: se riflettiamo bene, vino e filosofia sono un binomio non nuovo. D’altronde, la ricerca stessa della verità è uno degli oggetti di maggior interesse per la filosofia, e si può ben intuire come la bevanda degli dei, dunque possa essere un interessante fine e mezzo per arrivare alla verità.
L’uomo, dai tempi più antichi, è stato sempre attento a individuare i confini della misura consentita, e di volta in volta ha valutato la sicurezza del rimanere entro la misura o ha provato l’ebbrezza dello sconfinamento.
La misura e l’ebbrezza: il vino pare abbia in sé le caratteristiche stesse della ricerca umana e della filosofia; è giusto sconfinare per poter delimitare, andare oltre le esperienze per poterle descrivere.
Il vino, sin dall’antichità, non è mai stata una semplice bevanda: intorno alla sua nascita fioriscono varie storie e leggende; di certo è che lo conoscevano già i Sumeri, seimila anni fa, e gli egiziani.
L’origine del nome vino trae le sue origini dalla parola sanscrita vena, “amare”: Socrate si ricollega a questa accezione, raccontando il mito riguardante i festeggiamenti per la nascita di Afrodite, durante i quali le divinità Poros (astuzia, furbizia) e Penia (povertà) ormai ubriachi si uniscono e concepiscono Eros, dio dell’amore, il quale risulta essere il frutto di un amplesso derivante dal vino e dall’ebbrezza ad esso conseguente. Per i greci il vino era il nettare degli dei, per la precisione era il nettare del dio Dioniso, in nome del quale nei banchetti si perdevano i freni inibitori; Platone stesso, nel Simposio, usa il vino per accompagnare i dialoghi.
Per ciò che concerne la tradizione religiosa, invece si narra, secondo una delle interpretazioni mistiche ebraiche dell’Antico Testamento, che il vero frutto proibito del Paradiso terrestre non fosse la mela, ma l’uva con il suo succo; è interessante notare che, in origine si parla del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, che erroneamente, nel Medioevo fu tradotto come “mela”. Nella Bibbia, nel Vecchio e Nuovo Testamento il vino assume un forte significato simbolico: il vino scaturito dall’uva dell’albero della conoscenza, da cui consegue il peccato originale e che causò la cacciata dal Paradiso di Adamo ed Eva; l’ebbrezza sperimentata da Noè, il quale avrebbe dovuto santificare il succo d’uva bevuto anche da Adamo, e che invece, si ubriacò; l’ultima Cena del Cristo, in cui il vino diventa sangue, con un processo di transustanziazione: processo che venne finemente esaminato e disquisito da tutta la filosofia scolastica.
Attraverso il vino, nel suo consumo moderato o sfrenato si accede con sfumature diverse alla conoscenza. Un consumo moderato e meditato porta al dialogo, come nel caso del Simposio di Platone; un consumo smodato, il superamento dei limiti, come nel caso dei Misteri Eleusini, invece lascia spazio alla “epopteia”, ovvero estremo grado di unione con la divinità.
Amore e verità, disobbedienza ed ebbrezza, rito e divinità e sregolatezza: le innumerevoli sfaccettature di uno dei prodotti più antichi presenti sulla tavola dell’uomo.