Il diffondersi del Coronavirus in Italia, la comunicazione sui social e gli effetti sulle persone offrono lo spunto per riflettere sull’impatto della comunicazione in tempo di crisi. Per comprendere l’isteria collettiva che si sta generando, dobbiamo guardare da una parte alle classiche dinamiche di influenza sociale, dall’altra alle caratteristiche proprie dei media digitali e più che mai, ai social network e l’impatto che le condivisioni di ognuno di noi ha a livello materiale nel contesto sociale. La comunicazione può assumere infatti, delle implicazioni sociali estremamente serie, passando da un normale flusso di informazioni, a vere e proprie forme di contagio, che possono portare a comportamenti propri dell’isteria di massa. Le dimensioni del fenomeno portate nel mondo digitale, se non controllate, possono generare un impatto devastante perchè assumono esattamente l’aspetto di un virus tanto potente da non poter essere controllato. Già in tempi remoti l’arte e i media erano in grado di influenzare le masse. Il primo grande esempio “virale” della storia del mondo è la Bibbia, il celeberrimo testo sacro della religione ebraica e di quella cristiana. Ancora prima la “viralità” era appannaggio di pseudo-indovini, druidi, maghi e sciamani. Ogni epoca è figlia del suo particolare periodo storico con le sue tecnologie e le sue risorse culturali. In quest’ottica, lo scorrere del tempo ha modificato la comunicazione e l’influenza che essa ha avuto sulla massa. Anche le tradizioni, non sono altro che “viralità” tramandate da epoche passate e giunte ai giorni nostri. Nei periodi storici più moderni, carta stampata, radio, cinema, televisione e internet hanno modificato le modalità di comunicazione e di susseguente influenza sull’opinione pubblica.
Da un punto di vista psicosociale nell’ambito delle relazioni sociali, si sviluppano sempre e comunque fenomeni di influenza. Ogni interazione o comunicazione tra gli individui riflette un’istanza di influenza, nonostante la maggior parte delle volte questo non sia un processo volontario. In questa prospettiva si tratta di riprendere il primo paradigma della pragmatica della comunicazione umana che asserisce che è impossibile non comunicare (Watzlawick, 1967) ed estenderlo alle dinamiche proprie che gli animali sociali umani hanno costruito attorno alla comunicazione, perché sia possibile considerare l’influenza come il prodotto e la premessa del nostro essere specificamente sociali. Da questo ne deriva che non è possibile non influenzare. A questo si aggiunga che esistono fattori di suscettibilità che dal mondo reale a quello virtuale si sono amplificati: si pensi alle catene di sant’Antonio, alle fake news che agiscono facendo leva per le debolezze cognitive degli attori sociali. La convergenza multimediale dei social network, che agevola la viralità della comunicazione digitale, è frutto di una progettazione finalizzata a convincere gli utenti ad impegnarsi in un’azione: si pensi alla facilità con cui attraverso un semplice “like” si diffonde un’informazione che ha un suo proprio impatto nella vita delle persone che vengono esposte a quel messaggio. Tutto questo avviene esattamente come il proliferare di un virus, capace di contagiare con grande facilità, così da ritenere una “stretta di mano” alla stregua di un “like” sui social.
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La “viralità” virtuale ha anche, bisogna dirlo, dei risvolti positivi. Si pensi, ad esempio, quanti autori o artisti di calibro, sono letteralmente fioriti grazie alla piattaforma di Youtube, strettamente correlata ai vari social, quali Facebook, Twitter o Instagram. Certo, non tutti collezionano successi e non tutti sono in grado di collezionare followers e visualizzazioni, ma è alla stessa stregua di quando non tutti gli attori di rivista o di teatro erano dei “Totò” o dei “De Filippo” e per cui non tutti riescono a sfondare sui social. Il criterio di successo è lavorare ogni giorno alla creazione di video da caricare sulle varie piattaforme online. Forti di un loro pubblico e di centinaia di migliaia (anche milioni) di “cliccate” che garantiscono, tramite la vendita della pubblicità, d’avere un ritorno economico di tutto rispetto. Normalissimi giovani con la grande capacità di essere comunicativi, naturali, chiari ed efficaci, avere una buona dose di ironia e autoironia. Ma anche avere un tono di voce che cattura l’attenzione e un po’ sfacciato. Il più delle volte si parte per gioco: cominci a pubblicare con una certa continuità, ad incontrare altri Youtuber e ti costruisci un seguito di pubblico. Quando arrivi a 10mila visualizzazioni, inizi a diventare interessante. Alla base di tutto c’è il gusto di creare, di comunicare e di condividere un proprio messaggio, pronti a suscitare anche le più inaspettate reazioni. Numerosi sono gli esempi italiani di “youtubers” di successo: i Nirkiop, i Sansoni, Le Coliche, i The Jackal o ancora Daniele Condotta e Casa Surace…solo per citarne alcuni. Tra i più compiuti vanno certamente citati quest’ultimi. Nel 2014 un gruppo di amici decide di utilizzare la scritta Surace per essere riconosciuti nel mondo del web: è così che nasce la realtà di Casa Surace. Un gruppo di artisti che hanno in comune, oltre ad alcune esperienze precedenti nel mondo dello spettacolo, la voglia di raccontare realtà e cliché sociali in maniera divertente e ironica. Passa soltanto un anno e quel nome Casa Surace, scelto per un caso del tutto fortuito, diventa virale su Youtube e Facebook: nel 2015 nasce una casa di produzione a tutti gli effetti e per gli amici di Casa Surace inizia la scalata verso il successo.
E’ il primo fondamentale passo per una comitiva di ragazzi legati da un forte sentimento di amicizia e da uno spirito ironico e dirompente che cerca di mettere in scena le differenze che caratterizzano il modo di vivere al Nord e al Sud Italia. Tra i loro migliori corti, spicca Il matrimonio al sud, il quale mette alla berlina la tradizione, tutta meridionale, di considerare il matrimonio come una non-stop di cibo, di regali, di tradizioni e di costumi, che forse sopravvivono solo al Sud-Italia. Molto popolari anche Federico e Fabrizio Sansone (in arte ‘I Sansoni’), due fratelli palermitani dall’enorme fluidità autoriale, capaci di creare perle sociologicamente molto rilevanti come Non sono problemi nostri, nel quale si narra di una coppia di fratelli che abitano al primo piano di un condominio, dubbiosi se soccorrere una signora anziana che è inciampata nel cortile del loro condominio e ora bisognosa di un soccorso. La metafora dell’Italia e degli innumerevoli sbarchi, per un video che ha superato le 7 milioni di visualizzazioni e ottenuto la ribalta nazionale.
Questo per dire cosa? Che la “viralità” fa parte delle nostre vite, che al di là degli allarmismi, giustificati o meno, il farci influenzare è qualcosa che di per sé è insita nella mente umana: la stessa Eva si fa influenzare dal serpente a cogliere la “mela”, sinonimo di “tentazione”. Per cui tratte le dovute conclusioni i social network non sono altro che la prosecuzione naturale di un fenomeno che affonda le sue radici agli albori del mondo e che dobbiamo saper fronteggiare con sapienza e coscienza di noi stessi, delle nostre qualità ed anche dei nostri difetti.
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