YOLO Economy, la nuova filosofia lavorativa dei millennials

La felicità è un lavoro flessibile e non tradizionale

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YOLO Economy, la nuova filosofia lavorativa dei millennials

Dopo l’iniziale incertezza sull’obbligo di lavorare da casa, causa forza maggiore, i lavoratori hanno iniziato a farci la bocca, ci si è resi conto che, forse, oltre il classico percorso di vita lavorativa, che in qualche modo la società ci impone, c’è qualcos’altro.

Il termine di Yolo Economy si è fatto largo con forza negli ultimi mesi, letteralmente you only live once (si vive una sola volta), come filosofia teorizzata da Kevin Roose, in un articolo del marzo 2021 sul New York Times, ma il termine yolo fu coniato già nel 2011 dal rapper canadese Drake.

Ma cosa vuol dire esattamente?

Attualmente, al grido di YOLO, un gran numero di lavoratori, per lo più tra i colletti bianchi millennials, sta abbandonando il proprio lavoro, ritenuto scomodo, nella convinzione tipo “la pandemia ha cambiato le mie priorità e non voglio più vivere così”.

Voglia di evasione e leggerezza, ma forse, ancor di più, voglia di cambiamento, di non essere imprigionato in quegli schemi che la società ci mostra come giusti, tramandati di generazione in generazione, ma che non fanno sentire “giusti” noi stessi.

In fondo, se un maglione è stretto, lo cambiamo, e perché non dovremmo farlo se è la vita ad andarci stretta? Pensiero rivoluzionario, che fa inorridire i nostri papà in pensione, ma che la pandemia, come accade spesso nei momenti bui della vita, ci ha fatto trovare il coraggio di mettere in atto.

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Possiamo decidere che il 2021, al pari del 2020, sia completamente da buttar via, oppure possiamo scegliere di focalizzarci su altro… sulle nuove consapevolezze raggiunte, sul nuovo valore che diamo al tempo ed allo stare insieme. Ossia, su quanto di buono è comunque accaduto o su cosa abbiamo imparato.

Un fenomeno in crescita

Un sondaggio Microsoft del 2021, rivela che il 40% della forza lavoro globale sta pensando di lasciare il proprio lavoro.

Una recente ricerca pubblicata da Kevin Roose nel suo articolo, evidenzia che il 46% dei millennials intervistati considera il lavoro la principale fonte di stress, il 23% dichiara di non sentirsi più in grado di svolgere il lavoro come faceva precedentemente alla pandemia.

Si può definire un fenomeno trasversale a livello mondiale, che, secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sta interessando anche l’Italia, dove si osserva una crescita pari al 43% delle cessazioni di lavoro nel secondo trimestre 2021, di cui 484 mila volontarie.

Quello che nel nostro Paese è stato impropriamente definito “smart working” ha riorganizzato il mondo del lavoro, o per meglio dire, la mente del lavoratore. Una teoria in realtà già profetizzata dal sociologo Domenico De Masi anni fa, (approfondisci qui), che ritiene che “…come gli operai sono stati imbrigliati nelle catene di montaggio meccanica per svolgere un lavoro ripetitivo e tendenzialmente inumano, così gli impiegati, i funzionari, i manager, sono stati imbrigliati nella catena di montaggio burocratica per svolgere un lavoro seriale”, (Smart Working – La rivoluzione del lavoro intelligente, Marsilio, 2020).

Perché la necessità di ri-pensare il lavoro?

La pandemia ha fatto esplodere la bomba di un malessere latente, covato nel tempo, dovuto alla necessità di un cambiamento, che faticava a mostrarsi ma che si è reso necessario improvvisamente a causa del Covid.

Tra le cause del malessere, innanzitutto, la voglia di svolgere lavori diversi da quelli classici, svolti nei luoghi tradizionali. Il desiderio di viaggiare, non solo nei 15 giorni di ferie estive, ha avuto un ruolo fondamentale, portando alla nascita di lavoratori che si sono inventati “nomadi digitali” (approfondisci qui).

La necessità di orari flessibili, non si vive per lavorare, ma si lavora per sostentamento, la vera vita è quella lontana dal luogo di lavoro. Il tempo libero acquisisce importanza nel personale paniere della vita, come sostenevano i greci, è il tempo utile per imparare e scoprire. Aristotele lo definiva “il fondamento della cultura, la tensione dell’individuo verso la libertà dalle preoccupazioni quotidiane del lavoro e quindi come una condizione dell’anima che attraverso la contemplazione ricerca la verità e la vera felicità”.

Secondo i dati Instagram Trend Report 2022, il 68% di nativi digitali afferma che il lavoro è qualcosa che bisogna fare, ma non è la cosa più importante nella vita, e il 77% preferirebbe avere un lavoro significativo anziché redditizio.

Pensieri questi, che dovrebbero però far riflettere sulle conseguenze, come invita a fare un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore. L’espressione Yolo Economy risuona come un mantra, che potrebbe, potenzialmente, distruggere più aziende del Covid. Si teme infatti un gap di ricambio generazionale nelle aziende, considerando che i millennials si professano adepti della nuova filosofia e la Generazione Z è ancora troppo giovane per varcare la soglia dei cancelli del mondo del lavoro.

“Lascia il lavoro se non ti rende felice”

A supporto della teoria del “si vive una volta sola”, sono arrivate, nel momento più opportuno, anche le parole del Principe Harry, emigrato negli Stati Uniti proprio alla ricerca di un cambiamento radicale di vita. Intervistato da Fast Company Magazine, a proposito della Great Resignation (l’ondata di dimissione negli Stati Uniti), ha dichiarato: “Molte persone, in tutto il mondo, sono state bloccate in lavori che non hanno portato loro gioia, e ora mettono al primo posto la loro salute mentale e la loro felicità. Questa è una cosa da celebrare”, e ancora, “questi problemi si stavano già affacciando da qualche anno. Adesso ci troviamo di fronte a una presa di coscienza generale sul ruolo della salute mentale. Ecco perché bisogna continuare a tenere viva la discussione su questo argomento”.

Parole che hanno portato con sé strascichi di polemiche, che lo accusano di parlare con troppa facilità dalla sua bolla dorata. Chiaramente mollare tutto è una decisione che conduce a percorrere una strada irta di rischi e imprevisti, e non tutti, pur condividendone l’ideale, possono trovarsi nella possibilità di percorrerla con serenità.

Vorrei però condividere con voi, in conclusione, una frase dell’attrice Monica Vitti, che ripeto a me stessa, ormai da un po’ di tempo, soprattutto nei momenti difficili, “Dicono che il mondo è di chi si alza presto. Non è vero, il mondo è di chi è felice di alzarsi”.

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